Sì, l’omofobia ha stroncato ancor prima di nascere il Ddl Zan, e non ci si meravigli per la tesi. Che differisce da quella mainstream per un solo, lievissimo dettaglio: il punto di osservazione. Chi ha ucciso politicamente l’idea, e perché.
Come ha capito quasi chiunque, ma non dice pressoché nessuno, l’idea l’ha uccisa il Pd, con le incursioni delle squadracce arcobaleno Zan-Cirinnà e la benedizione dell’ex democristiano Enrico Letta, ridotto a luogocomunista politically correct. E l’hanno fatto costoro, i buoni, i civili, i #restiamoumani, per un approccio omofobo nel senso lato e peggiore, subdolamente discriminatorio e sostanzialmente offensivo. Una commedia dell’ipocrisia svolta in passaggi successivi e strettamente collegati tra loro, che val la pena di riepilogare, prima di essere sommersi dalla retorica lacrimevole sul diritto stracciato, che peraltro era da sempre la tappa finale.
Primo: proclamarsi esclusivi depositari della causa gay, Lgbt, dei diritti civili, della “tolleranza” popperiana (quindi liberale, non ex o post-cattocomunista!), frullando la lunga e molteplice storia del movimento omosessuale italiano in un santino social, come se il pioniere libertario Angelo Pezzana fosse pari alla censora liberticida Vladimir Luxuria, come se difesa dell’individuo e attacco del dissenso coincidessero, e non fossero i perfetti opposti. Il tutto peraltro soprassedendo allegramente sull’oggettiva storia omofoba di famiglia, come se il Pd non fosse il partito erede di quel Pci che cacciò Pier Paolo Pasolini per “indegnità morale” e come se il Che Guevara ostentato tutt’oggi in numerose piazze sinistre non avesse allestito graziosi campi di concentramento per gay (loro, si sa, non devono chiedere scusa mai, mentre qualunque dirigente della destra italiana del 2021 deve ripudiare la marcia su Roma del 1922 fino al settimo grado di parentela).
Secondo: su questa presunzione farlocca di superiorità etica, si costruisce un disegno di legge irragionevolmente talebano, che compromette palesemente una quisquilia costituzionale come la libertà di pensiero (articolo 4 del Ddl Zan) e fa delle intricatissime tematiche dell’identità di genere (su cui si è lontanissimi dall’avere una quadra in ambito scientifico, pedagogico, psicanalitico) del disinvolto materiale di chiacchiericcio (non vogliamo dire propaganda, non siamo talebani all’incontrario) nelle scuole (articolo 7). Su queste premesse oltranziste, e de facto oscurantiste, si rifiuta qualunque minimo elemento di confronto civile e culturale, di dialettica parlamentare, di trattativa, ovvero si deraglia scientemente dall’ambito della politica, per entrare in quello della teologia. Laica e arcobaleno, ma pur sempre teologia: il Ddl Zan è il Bene legislativo incarnato, o ci si inginocchia o si cade nell’apostasia. Vien da sé che rifiutando di calare le altisonanti e non impegnative dichiarazioni di principio nel terreno fattuale, sofferto e vincolante della politica, si fa un torto anzitutto alla battaglia con cui formalmente ci si trastulla. I diritti o stanno nella realtà effettuale e imperfetta della politica, o sono sermoni di convenienza.