Nel discutere sui fatti di Caivano e sul decreto sicurezza che ne è scaturito si è insistito molto nell’attaccare (strumentalmente, da sinistra) o nel difendere le misure adottate dal governo. Si è persino filosofeggiato sui rapporti fra sicurezza e libertà, non tirati in ballo in altre e più serie occasioni (ad esempio il Covid), pur trattandosi di semplici misure di “ordine pubblico” adottate per poter ristabilire quel controllo del territorio da parte dello Stato in territori ove esso è stato finora latitante o addirittura assente.
Molto più interessate mi sembra però affrontare la questione da un altro punto di vista, poco sottolineato: per la prima volta il governo è uscito da un’ottica che, anche in tema di sicurezza, parte sempre dal centro. Per la prima volta ci si è posti nella prospettiva dei tanti che vivono nelle sempre più desolate e degradate periferie urbane. Quello del degrado delle periferie è un problema non solo italiano, come è noto, legato all’urbanizzazione sempre più massiccia del nostro mondo. In Italia, però, esso si pone con tutta una sua peculiarità che solo uno “sguardo periferico” può finalmente restituirci. Lo stesso problema dell’immigrazione considerato dal punto di vista delle periferie dimostra la vacuità delle ideologie dell’accoglienza predicate e praticate a sinistra. O anche la colpevole sottovalutazione che sempre a sinistra si è avuta della microcriminalità e della delinquenza minorile.
Lo sforzo che bisogna compiere è appunto quello di mettersi nei panni di chi abita in una periferia urbana, che è spesso il figlio di un genitore di provincia venuto a lavorare in città qualche decennio fa e che non si è potuto permettere di comprare una casa vicina al luogo di lavoro, cioè in centro. Ne ha comprato con estremi sacrifici una ai margini, vivendo comunque già questo fatto come un’ascesa sociale. Ha sperato che i suoi figli potessero poi compiere un passo ulteriore, grazie ai suoi sacrifici (già solo raggiungere il posto di lavoro era un’avventura). All’improvviso, con l’arrivo massiccio dei migranti, si è trovato non solo e non tanto a convivere con persone di altre culture e civiltà, ma con persone che, non opportunamente integrate o addirittura clandestini, per sbarcare il lunario hanno dato mano d’opera alla piccola delinquenza e soprattutto hanno invaso luoghi che a mala pena era sufficienti per offrire un minimo di servizio agli autoctoni. Le mafie e le camorre ci hanno sguazzato.
Il povero cristo venuto dalla provincia si è visto deprezzare la sua casa e ha anche perso la speranza di un’ascesa sociale per i propri figli. Si è aperta una guerra fra poveri, in cui il razzismo, su cui tanto ama discettare chi vede le cose dal centro, c’entra come un fico secco. Che il degrado delle periferie si poi diffonda gradualmente al centro e ovunque, è un dato di fatto. Riqualificare le periferie, prima di tutto ridando allo Stato il controllo perso del territorio, è essenziale. Così come ridare un futuro alla gioventù smarrita.
Sulle periferie a fallire è stata proprio la sinistra, non ultimo con le ideologie urbanistiche delle sue prezzolate archi-star che, con le loro ideologie comunitariste hanno creato quei quartieri-dormitori (lo Zen, Corviale, le Vele) in cui ogni alito di vera umanità sembra per sempre scomparso.
Corrado Ocone, 10 settembre 2023