Nel decreto (cosiddetto) crescita il governo ha previsto un codicillo micidiale per migliaia di piccole imprese e artigiani italiani. La norma è in vigore dal primo di maggio, e se i politici non si affretteranno a cambiarla saranno davvero guai. Le associazioni più attive, Confartigianato e Federlegno, stanno già sul piede di guerra. Vediamo di che cosa si tratta. Come tutti sanno da circa venti anni il fisco permette ai cittadini di detrarsi fiscalmente una parte di quanto speso per ristrutturazioni edilizie, per risparmio energetico o altri interventi ritenuti meritevoli dal legislatore. Il bonus ristrutturazioni arriva a metà di quanto speso (con un tetto a 96mila euro) per il recupero edilizio e si prevede addirittura il 65 per cento di detrazione fiscale per riqualificazioni energetiche: dall’istallazione dei pannelli solari ad impianti di riscaldamento e raffreddamento evoluti. Allo Stato questi incentivi (dati del 2018) costano quasi 8 miliardi di euro l’anno: 6 miliardi per il bonus edilizio e più di 1,6 miliardi per il risparmio energetico. E coinvolgono circa 10 milioni di italiani.
Negli anni il loro utilizzo è stato molto semplificato. In buona sostanza il proprietario di casa che voglia ristrutturare e spenda 100mila euro, sa che 50mila gli verranno restituiti (semplifichiamo). Certo, in dieci anni. Il che vuol dire 5mila euro di detrazioni che si toglie ogni anno dalla propria dichiarazione dei redditi. Ovviamente, come per tutte le detrazioni, chi non ha redditi o imponibile sufficiente non ha alcun beneficio.
Cosa si sono pensati questi geni del governo per dare una spinta all’edilizia (fine di per sé sacrosanto): invece di spalmare il bonus in dieci anni, facciamolo avere ai cittadini tutto in un anno. Boom. Sarebbe ovviamente fantastico. Tenendo buono il nostro esempio: invece di spendere 100mila euro e poi aspettare dieci anni per recuperare fiscalmente i 50mila, pago al mio fornitore solo 50mila euro. L’uovo di colombo. Ma l’articolo dieci del decreto crescita prevede che a pagare dovranno essere i vostri piastrellisti, idraulici, serramentisti, muratori e via andando. Il meccanismo è infatti il seguente. Il cittadino si fa fare un preventivo per ristrutturare casa o mettere i pannelli da centomila euro. La pmi gli fa il lavoro, ma incassa solo 50 mila euro. Il resto del pagamento lo ottiene dallo Stato in cinque anni. In forma di detrazioni fiscali. Come si dice a Roma: ciao core.
Immaginate una piccola impresa italiana che faccia lavori incentivabili per un milione di euro: incasserebbe dai suoi clienti cinquecentomila, per il resto dovrebbe indebitarsi per pagare i suoi dipendenti, materiali e via discorrendo. Sperando di recuperare il non pagato dal suo cliente da parte dello Stato nei cinque anni che seguono. Questo vuol dire fare da banca, non fare impresa artigiana.
Voi potreste obiettare che per il privato sarebbe comunque una manna. Errore. Non troverete più un artigiano disponibile a farvi un lavoro incentivato. Potrebbero sì e no lavorare quelle poche multinazionali del settore che hanno le spalle sufficientemente larghe da reggere l’impatto finanziario della norma: che so, la grande multiutility dell’energia, il fornitore di petrolio, che poi ovviamente subappalterebbero il lavoro a qualche piccola impresa a quel punto strozzata.
È ciò che vuole il governo gialloverde? Se lo dite in giro, Di Battista o Paragone si farebbero venire lo «stranguglione» con la loro retorica contro le grandi corporation. Eppure è proprio ciò che questi fenomeni hanno scritto nero su bianco.
Ci sarebbero ovviamente delle vie di uscita. Mantenendo il meccanismo di scontare tutto al contribuente, cosa che darebbe una bella botta all’edilizia. Ad esempio la Cdp, la banca pubblica che gestisce il risparmio privato, e che viene sempre tirata per la giacchetta in tutte le operazioni finanziarie di questo Paese, potrebbe diventare un prestatore di ultima istanza per questo genere di detrazioni. Certo non è attività sexy come entrare in Fca o Tim, ma avrebbe un forte impatto sulla nostra crescita. Il meccanismo di sconto degli anticipi fiscali non è banale. Ma la soluzione individuata e che prevede di tenere tutto sulle spalle non proprio larghe delle pmi, è la peggiore.
Nicola Porro, Il Giornale 1° giugno 2019