La sera di lunedì 6 aprile, a margine della conferenza stampa post Consiglio dei Ministri, così scriveva su Twitter il Premier Conte: “Dal decreto di oggi arrivano 400 miliardi di liquidità per le imprese, con il CuraItalia ne avevamo liberati 350. Parliamo di 750 miliardi, quasi la metà del nostro Pil. Lo Stato c’è e mette subito la sua potenza di fuoco nel motore dell’economia, Quando si rialza l’Italia corre”. I 400 miliardi del decreto liquidità sarebbero la somma dei 200 miliardi di cui al co. 1 dell’art. 1 e dei 200 miliardi di cui alla lett. c) del co. 1 dell’art. 2 (che ha introdotto il nuovo co. 14-bis nell’art. 6 del DL 269/2003), relativi alle garanzie che Sace spa può rilasciare per conto dello Stato su finanziamenti erogati da banche e altri enti creditizi a favore di imprese con sede in Italia. I secondi 200 miliardi, in coerenza alla mission di Sace spa, devono essere finalizzati al sostegno all’esportazione, all’internazionalizzazione e agli investimenti delle imprese; i primi costituiscono invece una misura straordinaria e temporanea che consente a Sace di assumere impegni, fino al 31 dicembre 2020, anche per finanziamenti slegati alle predette finalità.
Quello che forse sfugge è che tanto i primi quanti i secondi 200 miliardi costituiscono un mero “tetto massimo” di assunzione di impegni consentita a Sace spa. Un “tetto massimo” che avrebbe potuto anche essere fissato nella misura di 1 miliardo e 1 miliardo, ma che non avrebbe spostato di un millimetro la reale operatività che potrà essere sviluppata da Sace spa, la quale resta ovviamente agganciata al Fondo di dotazione che lo Stato gli mette a disposizione. L’art. 1 co. 14 del decreto liquidità stanzia 1 miliardo e, come precisato dalla norma stessa e dalla relazione tecnica all’art. 2, tale Fondo riguarda sia l’attività “temporanea” fino a un massimo dei primi 200 miliardi, sia l’attività “a regime” fino a un massimo dei secondi 200 miliardi. Anche ipotizzando che Sace spa, in ragione di una ritenuta migliore qualità del proprio portafoglio, operi con una leva finanziaria di 20, tale per cui, per ogni euro disponibile del Fondo di dotazione, concede garanzie per 20 euro (la leva media, in termini di valutazione del rischio, è di 12,5), significa che al momento la “potenza di fuoco” messa in campo dallo Stato con il decreto liquidità non è di 400 miliardi, bensì di 40 miliardi. Per quanto concerne gli altri 350 miliardi, che vengono ascritti al precedente decreto “Cura Italia”, si tratta essenzialmente della moratoria fino al 30 settembre 2020 del rientro dai finanziamenti in essere, di cui all’art. 56, e del potenziamento del Fondo centrale di garanzia per le Pmi, di cui all’art. 49, come sostituito con modificazioni dall’art. 13 del decreto liquidità.
Per quanto riguarda la moratoria dei finanziamenti già in essere, la relazione tecnica all’art. 56 del decreto “Cura Italia” evidenzia che sono circa 190 i miliardi di cui viene sospesa, fino al 30 settembre 2020, la possibilità di revoca (relativamente ai finanziamenti a breve) e il pagamento delle rate in scadenza (relativamente ai finanziamenti a medio-lungo). Ovviamente, in questo caso, non si sta parlando di un solo euro di liquidità aggiuntiva, ma soltanto di una temporanea “cristallizzazione” degli obblighi di rientro relativi a finanziamenti già erogati. Per quanto riguarda il potenziamento del Fondo centrale di garanzia per le Pmi, con garanzie statali che possono arrivare fino al 100% nel caso di prestiti fino a 25.000 euro, lo stanziamento dello Stato, tra decreto “Cura Italia” e decreto liquidità, ammonta a 1.729 milioni. Se si considera un effetto leva di 14 (inferiore a quello di Sace spa per la diversa qualità del portafoglio garanzie, ma comunque ottimistico, in quanto superiore a quello medio di 12,5), la “potenza di fuoco” messa in campo dallo Stato può arrivare a 24,2 miliardi, ossia un volume sufficiente a coprire prestiti fino a 25.000 euro per meno di un milione di Pmi, su 4,7 milioni della platea totale.