Ci hanno fatto una capa tanta in questi ultimi due anni. “Bisogna mettere da parte l’individualismo egoistico generato dalla mentalità capitalistica in favore del bene comune”. “La libertà è partecipazione”. “Da soli non ci si può salvare, l’unico modo per uscire dalla pandemia è stare tutti uniti”. “Vaccinarsi è un atto d’amore, il green pass uno strumento di libertà”. E si potrebbe andare avanti a lungo.
Bè, possiamo dire che dopo una campagna politico-mediatica martellante e pervasiva, la classe dirigente di questo paese ha di fatto ottenuto il suo scopo: il sacrificio dell’individuo sull’altare del collettivismo ipocrita e perbenista. Il problema, però, è che, come sanno bene i commensali della Zuppa, quando si decide che è giusto che il singolo si immoli, che metta da parte le sue legittime istanze in favore di un’entità astratta come la “società”, ecco che non si ottiene né il bene del singolo individuo né quello delle persone che gli stanno attorno. Anzi, il risultato è l’esatto opposto: si generano mostri e la storia è lì a dimostrarlo.
È senza tampone, non la visitano
Grida vendetta in questo senso la vicenda di una signora sarda alla quinta settimana di gravidanza che si reca al pronto soccorso per delle perdite e un mal di pancia molto forte. Aveva desiderato quel bambino con tutte le sue forze e dopo anni di tentativi, ecco che finalmente era arrivato.
Premessa: la signora aveva fatto due dosi di vaccino ed era in attesa della terza. Per noi è una puntualizzazione assolutamente inutile, ma ci teniamo a chiarirlo: Maria (nome di fantasia) aveva fatto il possibile per proteggere se stessa, il bambino, financo la società italiana, europea e mondiale. Ma alla legge italica, alla burocrazia dell’ospedale e a chi l’ha fatta applicare evidentemente questo non è bastato. Sì, perché Maria, oltre ai vaccini e al green pass avrebbe dovuto anche fare un tampone molecolare almeno il giorno prima, onde evitare il rischio di contagio delle sue compagne di stanza, dell’intero reparto, dell’ospedale, di tutta Sassari e via dicendo. Nella struttura ospedaliera, infatti, sarebbe stato possibile effettuarlo solo dopo il weekend.
Troppo tardi. Così, in nome del bene comune, per evitare un ipotetico rischio di contagio, i medici preferiscono rispedire a casa la donna. “Tenga monitorata la perdita – le dicono – e qualora dovesse aumentare si ripresenti”. Maria non fa in tempo a salire in macchina che ha un aborto spontaneo.
La burocrazia (del Covid) può uccidere
Ecco, a voi sembra bene comune questo? A noi suona più come una tragedia, un abominio. Perché quando si sacrificano le persone in nome di leggi assurde, siamo molto lontani dal bene e più che mai vicini all’inferno. E all’inferno dell’amore non vi è traccia, anzi lo si utilizza come scusa per fare il male. Sarebbe accaduto comunque? Sì, no, forse, probabilmente. Non lo possiamo sapere. Quel che è certo è che chi ci governa, non il covid, è riuscito a privarci persino di quel briciolo di umanità che davamo forse troppo per scontata.
“So benissimo che queste cose durante il primo mese possono capitare – ha detto Maria –. E non voglio dire che una visita avrebbe potuto cambiare il destino. Ma io mi sento profondamente triste e arrabbiata, perché ciò che mi è mancata è stata la comprensione umana. Mi sono sentita messa da parte, perché penso che una visita a una mamma che sta male, che aspetta questo tesoro da cinque anni, sia un diritto sacrosanto. Mi avrebbe aiutato ad accettare tutto con meno amarezza”.
Senza green pass il malato oncologico sta a casa
Purtroppo non è tutto. Dalla Sardegna arriva anche un secondo brutto episodio che ci racconta fino a che punto siamo sprofondati in nome del presunto bene collettivo. A Olbia, infatti, una donna malata di tumore non è stata fatta imbarcare sul traghetto per Roma. Giovanna (nome di fantasia) doveva recarsi al Gemelli per un intervento urgente. Sia lei che il marito sono vaccinati con prima dose, ma non hanno il lasciapassare rafforzato. E senza quello non si sale a bordo. Nemmeno se stai rischiando la vita. “La legge è legge ci hanno detto” – ha spiegato il marito. Una frase aberrante. Perché “la legge è legge”, significa la sospensione volontaria del senso critico e di tutto ciò che ci rende veramente umani. Al contrario, la verità è che molto spesso per fare il bene bisogna disubbidire. E qui forse vale anche la pena di interrogarci su noi stessi, su chi siamo diventati. Non basta più dare la colpa solo alla politica e ai media. Guardiamoci dentro.
Quante Maria e quante Giovanna dovremo ancora sacrificare per capire che non esiste nessun bene superiore rispetto a quello di Maria e Giovanna? Quanto in basso dovremo precipitare per capire che il loro destino è il nostro destino?