Non si finisce mai d’imparare ed io proprio non sospettavo l’esistenza del dental dam e men che meno i suoi usi alternativi (e così spero di voi). Però qui bisogna fare un passo indietro, che già si capisce poco. Il passo indietro sarebbe che a Milano, in un posto evocativo chiamato “LatoB”, che sta in viale Pasubio, e dove hanno fatto la Laboratoria, sissignore (nel senso delle donne, sia chiaro, non della formula reverenziale al superiore). Da questo momento, tutto quello che puoi pensare è vero, nel senso che del doman non v’è certezza, di grammatica contezza, lato A, B, uscita di servizio, entrata per fornitori, non si capisce un venerato ciufolo. Intanto, però, subito uno scivolone, là dove quell* della Laboratoria di Educazione Sessuale Transfemminista avvertono, con adorabile vezzo commerciale: “Se ti sei prenotatə, ma non puoi venire: per favore faccelo sapere! Così possiamo dare il tuo posto ad un’altra persona”. Eh, no. Non si dice un’altra persona. Si dice “persona umana”.
Se no non è inclusivo. È razzista. Oseremmo dire perfino patriarcale. Papa Gino dove sei. Ma andiamo avanti. “La lab (sic) avrà come tema l’educazione sessuale al piacere e al consenso, così come la prevenzione nel sesso, fuori dalla narrazione eterocisnormata e fallocentrica”, e già le faccenda si fa ostica e anche agnostica, come diceva Arrigo Sacchi. Cerchiamo lumi: sarebbe dunque “un’opportunità per creare uno spazio orizzontale, per parlare di piaceri e rischi che vengono invisibilizzati e esclusi dai discorsi soliti di prevenzione. L’obiettivo è di creare un luogo sicuro di condivisione di saperi, pratiche, dubbi, esperienze e conoscenze, per poi sistematizzarle”.
Ecco, allo “spazio orizzontale” a me, chissà perché, forse per contrappasso reazionario o solo nostalgico, è venuto in mente il cartolaio di via Porpora, che si chiamava Carlino ed era un maschilista sessista bianco (più che altro giallognolo) patriarcale da far schifo: come entrava una femmina, dovete sapere, la apostrofava così: “Le donne… sono tutte putta**! Stanno bene solo in posizione orizzontale (o a 90 gradi)!”. Altri tempi, si dirà. Sì, ma effettivamente era pesante anche allora. Va detto che nessuno lo pigliava sul serio a cominciare dalla moglie: “Carlino, va’ di là a sistemare le gomme, le matite”. E lui andava. Dal retro, lo si sentiva rovistare borbottando: “Le donne…”. Ebbe, bisogna ammetterlo, un gran successo: la leggenda si allargava e arrivavano scolari da tutta la città, credo che qualcuno, se legge queste nostalgie da buttare, se lo ricordi ancora.
“La lab” continua il comunicato illustrativo della Laboratoria di via Pasubia “è aperta a tutte le persone interessate, a cui non basta un preservativo ‘classico’ per essere safe, dato che è l’unica prevenzione di cui sentiamo parlare. È aperta quindi a persone che non sono rappresentate nel discorso eterocisnormato fallocentrico e monogamo di prevenzione e piacere”. E al preservativo classico che non è safe, nel quadro del discorso eterocisnormato e fallocentrico eccetera, uno si arrende: ma sì, avete ragione, aveta ragiona, qualunque cosa vogliata dira, è tutto come dite voa. Personae umanae. E uno che altro potrebbe chiosare, obiettare, domandare? “Nello specifico (un po’ di sano burocratese rugginoso non ci sta male, neppure tra le fumisterie della Laboratoria) parleremo di consenso, di rischi, di buone pratiche di prevenzione, di sex toys, di lubrificazione (e ti pareva). Parleremo anche di altri metodi di barriera che sono (più o meno) disponibili, in particolare quelli per vulva e/o vagina come il preservativo interno, il dental dam, Vulvarnes (un nuovo harness di supporto per dental dam), e delle nostre esperienze”.
Voilà, ci siamo arrivati. È stato un viaggio un po’ contorto, allucinogeno, ma finalmente eccoci. Il dental dam. Vado a cercare, e trovo una maschera credo in lattice per dentisti, anzi per pazienti: che tuttavia vogliono usare anche per i rapporti orali. Per le persone (umane) transfemministe della Laboratoria, un rapporto orale è una pratica dentistica, non si sa se con anestesia o senza. Mi informo meglio, e scopro che manco serve: dubbi su dubbi quanto a efficacia, sicurezza, non parliamo del comfort. Ma alla Laboratoria perdono una sera a discuterne. “A seguire, aperitivo, talk e tombola transfemminista!”, punto esclamativo, e immaginarsi i numeri che escono.
Si ride, ma la faccenda è peggio che grottesca, è tragica. Non tragicomica, è agghiacciante. Il trionfo dell’inconcludenza, la paranoia da riserva indiana, la testa avvitata alla rovescia, altro che transfemminista, certi deliri li ascoltavamo già 50 anni, mezzo secolo fa, con la differenza che allora restavano (relativamente) marginali e come tali nell’alone del compatimento: adesso diventano dominanti. Cioè qui c’è gente che fa le tombole con la maschera di lattice per i rapporti orali con l’harness di supporto non rappresentate dal discorso eterocisnato e fallocentrico. Una specie aliena, che finché sta nelle sue tane laboratorie fa pochi danni, ma se uno pensa che, viceversa, si inserisce perfettamente nel quadro ideologico dell’eurogender, delle tendenze woke sempre più estreme, anche a livello di comprensione, di espressione.
Se uno considera che la fallimentare sinistra europea, in particolare quella italiana, essa sì tragicomica, pesca da questi esemplari per rilanciarsi, allora c’è davvero da spaventarsi, e il solito, scontato riferimento alla supercazzola brematurata con lo scappellamento al lato B della sbiliguda, non funziona più, come non funziona più lo slang a metà fra post futurismo e fumettazzo vintage, zang tumb tromb tromb. Pare al limite un film dell’orrore, se Dario Argento se la sentisse potrebbe usare la location della Laboratoria di via Pasubio per girare “Deliria”.
Max Del Papa, 14 gennaio 2023
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