Se odiate qualcuno, perché non andargli a sparare un colpo in nuca anziché scrivere qualche offesa sul web? Perché insomma: vuoi mettere questo “essere aleatorio” dell’odio online rispetto al “corpo a corpo” delle Brigate Rosse? Quasi meglio il secondo, che almeno aveva “un’ideologia alle spalle” e – bontà loro – durante le azioni anche i terroristi “rischiavano di morire”. Ecco. Con le dovute parafrasi, e qualche punta di esagerazione, è questo il discorso di fondo emerso sabato sera durante la puntata di In Onda su La7. Una roba che se la vedesse oggi Fanpage dovrebbe metterci dietro un giornalista infiltrato per capire se il prof. Galimberti, Arianna Aprile e Concita De Gregorio a casa hanno un poster a colori di Mara Cagol.
Andate a vedere il video qui sopra, minuto 10.35 in poi. In studio si discute della “cultura dell’odio” di cui la “Bestia” di Salvini e Morisi sarebbe “la punta dell’iceberg”. Che la brutalità in Rete esista non è una sorpresa, e certo non l’ha inventata Morisi. Semmai cavalcata. Il punto è: si tratta di una violenza che resta lì, sui social, o rischia di trasformarsi in aggressioni reali? “Per quanto fossero esecrabili le loro manifestazioni e le loro azioni – dice il prof. Umberto Galimberti – negli anni ’70 c’era la supposizione che avessero un’idea o un’ideologia”. Oggi invece manca anche quello, è “puro sfogo verbale”. Quindi nessun confronto: ieri premevano il grilletto, oggi si limitano a schiacciare “invio” dopo aver sbattuto le dita sulla tastiera. Meglio così, no? Forse no. “Non giustifico gli anni Settanta – prosegue Galimberti – ma avevano un’ideologia alle spalle e per quanto esecrabili siano state le loro azioni, però almeno avevano un supporto non dico di pensiero, ma almeno qualcosa che ci somigliava”. Quindi se rapite un Aldo Moro qualsiasi, seminate il terrore in mezza Italia, uccidete innocenti e giudici, state tranquilli: un giorno troverete qualcuno che vi condannerà, ma dirà che “almeno” avevate a supporto un’idea di fondo. Come se questo potesse dare un tono di nobiltà a violenti ed assassini.
Visto che il discorso non era già abbastanza assurdo, De Gregorio ci mette il carico da undici: “Aggiungo che nel corpo a corpo”, benché si giochi ad armi impari (uno armato, l’altro no), comunque “anche il terrorista che spara rischia di morire”. Insomma: “È una battaglia in cui i corpi si fronteggiano”. Hai capito? Che scemi quegli “odiatori da tastiera” che usano “l’aggressione anonima sul web”: il loro agire “è un po’ come il drone”, dice De Gregorio, dove “io aggredisco te ma non rischio mai di morire a meno che non arrivi la nemesi”. Che dite, rispolveriamo le Hazet 36?
Magari non era questo il senso del discorso dei partecipanti al salotto di La7 (ce lo auguriamo), ma di sicuro è arrivato così alle orecchie dei telespettatori. O almeno al nostro. Anche perché la Aprile s’è detta “quasi più preoccupata” dalla piega che sta prendendo oggi l’odio rispetto al passato. “Non per sminuire gli Anni di Piombo, figuriamoci, ma lì si trattava di azioni criminali con un tempo e luogo definito, con degli autori che venivano nella migliori delle ipotesi perseguiti, rintracciati ed eventualmente puniti”. Insomma, la faccenda “era incapsulata, anche storicamente” (e cioè?), mentre “oggi questo apparente essere aleatorio dell’odio e della violenza nasconde una pervasività nel quotidiano difficile da incapsulare”. E tutti lì ad annuire, come se fosse robina da niente paragonare un po’ di insulti online, per quanto detestabili, ai 350 morti degli Anni di Piombo. Visto che si chiede a Meloni un giorno sì e l’altro pure di condannare il fascismo, non è che anche questa è da considerare una mezza apologia del terrorismo rosso?
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