Ricordate il caso Cospito? Ricordate la bagarre per le presunte rivelazioni di segreto d’ufficio sulla carcerazione al 41bis che il capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, Giovanni Donzelli, avrebbe spiattellato al pubblico avendole apprese dal collega di partito (e coinquilino) Andrea Delmastro? Bene. Dopo le tante polemiche politiche degli scorsi mesi, la procura aveva avviato un’inchiesta. Indagine che evidentemente non aveva portato molto lontano se i pm avevano deciso di chiedere l’archiviazione per il sottosegretario alla Giustizia. Tuttavia, il gip di Roma ha disposto l’imputazione coatta del politico Fdi. Tradotto: il magistrato dovrà formulare una richiesta di rinvio a giudizio e poi sostenere l’accusa nell’eventuale procedimento.
La Procura in una nota di maggio firmata dall’ufficio del procuratore Lo Voi aveva fatto sapere che di aver riconosciuto “l’esistenza oggettiva della violazione del segreto amministrativo” tuttavia la richiesta di archiviazione era “fondata sull’assenza dell’elemento soggettivo del reato, determinata da errore su lege extra penale”. Il Gip però ha deciso di procedere lo stesso con l’imputazione coatta. “Prendo atto della scelta del Gip di Roma che, contrariamente alla Procura, ha ritenuto necessario un approfondimento della vicenda giuridica che mi riguarda – dice Delmastro a caldo – Avrò modo, davanti al Giudice per l’udienza preliminare di insistere per il non luogo a procedere per insussistenza dell’elemento oggettivo, oltre che di quello soggettivo. Sono fiducioso che la vicenda si concluderà positivamente, convinto che alcun segreto sia stato violato, sia sotto il profilo oggettivo che sotto il profilo soggettivo”.
Sia chiaro. Una imputazione coatta non è una condanna. Così come l’apertura di un’indagine non determina la colpevolezza. Sarebbe sciocco ripeterlo, eppure in Italia è necessario. Non a caso infatti il Pd, benché sia consapevole che il processo vada ancora tutto celebrato, parte subito all’attacco parlando di un “crollo dell’imbarazzante difesa di Nordio” e di una “ancor più grave copertura politica di Giorgia Meloni”. La mossa del Gip ha fatto però infuriare anche Palazzo Chigi. Fonti del governo, infatti, hanno fatto trapelare una nota tutt’altro che conciliante. Anzi. Prendendo spunto anche da quanto successo con il caso Santanché, la cui indagine è stata riferita sui giornali ancor prima che la diretta interessata ne fosse a conoscenza, il governo punta il dito contro i magistrati chiedendosi se una parte di essa non stia svolgendo il ruolo dell’opposizione. “In un processo di parti non è consueto che la parte pubblica chieda l’archiviazione e il giudice dell’udienza preliminare imponga che si avvii il giudizio”, si legge nella nota. “In un procedimento in cui gli atti di indagine sono secretati è fuori legge che si apprenda di essere indagati dai giornali, curiosamente nel giorno in cui si è chiamati a riferire in Parlamento, dopo aver chiesto informazioni all’autorità giudiziaria. Quando questo interessa due esponenti del governo in carica è lecito domandarsi se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione. E abbia deciso così di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee”.