Le voci di corridoio che circolano negli ambienti giornalistici mediorientali, voci che lo dico subito a scanso di equivoci, per ovvi motivi non saranno mai confermate, affermano che nel magazzino 12 del porto di Beirut, quello che saltando in aria ha distrutto mezza città, oltre alle 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio c’erano immagazzinati anche 23 tonnellate di fuochi d’artificio, 1.000 pneumatici, decine di barili pieni di materiali liquidi infiammabili e, per finire, 50 tonnellate di fosfato di ammonio. Quest’ultimo, il fosfato di ammonio, 50 tonnellate che non sono proprio un quantitativo minimo, non ha, sempre ufficialmente, un proprietario. Non si sa da dove arrivi e neanche a chi appartenga. Insomma, detta così, sembra che si apparso dal nulla, si sia immagazzinato da solo e che, sempre da solo, abbia segnalato la sua presenza sulla lista dei materiali conservati in quel magazzino che, esplodendo, si è assicurato un paio di righe sui libri di storia che tratteranno l’anno 2020.
Un paio di righe nella storia di un anno come il 2020, per intenderci quello del coronavirus che fa ammalare di Covid-19 e che ha mietuto centinaia di migliaia di vittime e che ancora è molto attivo tutto il mondo, non è un’impresa da poco. A parte il fatto che solo un serial killer diversamente intelligente avrebbe stipato uno accanto all’altro i materiali di cui sopra, ciò che lascia sconcertati è che praticamente tutti erano a conoscenza di ciò che accadeva all’interno di quel magazzino: il governo, l’esercito regolare libanese, i servizi di sicurezza, i portuali e, per finire, anche gli ispettori della dogana. Quelli che, insieme al direttore del porto di Beirut, sono stati arrestati e che, su questo non ho alcun dubbio, diventeranno il capro espiatorio della vicenda. Perché un all’opinione pubblica un “colpevole”, anche se non è colpevole o non è totalmente colpevole, bisogna sempre darlo.
Fermo restando un paio di avvisi di pericolo che sembra siano stati inoltrati al governo proprio qualche giorno prima del disastro, la domanda sorge spontanea: come mai nessuno in questi anni si è preso la briga di mettere in chiaro che quei materiali dovevano essere spostati in zone meno abitate e stivate in sicurezza? Come dice Marzullo fatevi una domanda e datevi una risposta. Il mio pensiero, che è la risposta che mi sono dato alla domanda di cui sopra, è che quei materiali servivano a portata di mano a Hezbollah come materie prime per la preparazione degli esplosivi che avrebbero riempito le testate dei missili con cui l’Iran da anni, sotto gli occhi chiusi dell’Unifil e in barba alla risoluzione 1701 dell’Onu, sta armando i suoi proxy sciito-libanesi. Risposta corroborata dal fatto che sotto il ground zero libanese è stato trovato un tunnel che portava a un locale che i media hanno fatto passare per magazzino sotterraneo, ma che dalle poche fotografie che sono state pubblicate sembra, almeno a prima vista, un laboratorio officina.
Non sarà per caso che i missili iraniani e le relative testate venivano assemblati proprio lì sotto? E in caso, non sarà proprio perché il magazzino saltato in aria era per Hezbollah strategico, stoccaggio e produzione, che nessuno ha provato a farglielo spostare? E se nessuno ha provato a farglielo spostare non sarà perché il Libano vive sotto la morsa sciita di Nasrallah e dei suoi, spalleggiata dall’Iran? Non avrò mai risposte a queste domande e, anche se le critiche a me e al mio articolo non tarderanno ad arrivare, continua a valere il detto che a pensare male si pecca, ma spesso ci si azzecca. Fermo restando la tragedia dei morti, dei feriti e dei senzatetto, quello che lascia basiti, e che potenzialmente è anche più grave di ciò che è successo perché si potrebbero evitare altre tragedie alla già disperata situazione, è che nonostante ora tutti puntino il dito contro l’organizzazione terroristica Hezbollah non si capisce quali potrebbero essere, se mai ci saranno, i provvedimenti che verranno presi nei confronti degli altri magazzini bellici che la milizia sciita ha disseminato in giro per il Libano.
Cosa succederà ora delle armi accumulate da Hezbollah e nascoste sia all’interno dell’aeroporto che nei vari quartieri della capitale, per la precisione sotto scuole, moschee, campi sportivi e abitazioni civili? Vale la pena di ricordare che in un articolo del 13 luglio scorso pubblicato sul Jerusalem Post, per chi non lo conosce vale la pena ricordare che si tratta di una testata con una linea editoriale di sinistra, Anna Ahronheim, una delle più importanti reporter militari israeliane, rivelava che erano stati scoperti almeno 28 siti di lancio di missili appartenenti a Hezbollah posizionati nel mezzo di aree civili di Beirut. Notizia poi confermata da Tal Beeri, capo del Dipartimento ricerca presso il Centro di studi strategici Alma che rivelava inoltre la parziale localizzazione di questi siti che sono concentrati principalmente nelle aree di Beirut dominate da Hezbollah. Siti che sono collegati alla produzione, allo stoccaggio e al lancio di missili a medio raggio del gruppo Fateh 110/M600, gli stessi che sono al centro del progetto missilistico a guida di precisione portato avanti da Hezbollah.
Perché, mi chiedo, non trasformare la tragedia di Beirut in un motivo sufficiente per pretendere la smobilitazione della milizia sciita dai centri abitati di cui si fa scudo? Perché si continua a permettere a Hezbollah l’uso della popolazione civile di Beirut e del sud del Libano come scudi umani? Tattica questa ormai in uso da anni e che non viene quasi mai denunciata dai media internazionale all’opinione pubblica e che quando viene fatto è solo per dovere di cronaca, sempre in sordina e con articoli pieni di ‘se’, di ‘ma’ e di ‘però’? Certo non è politicamente corretto porre domande di questo tipo, soprattutto sapendo che nessun politico libanese, a prescindere da chi siederà nel nuovo governo, avrà mai il coraggio di rispondere. Questo, inutile girarci intorno, perché chiunque governerà a Beirut vivrà sempre con la spada sciita sul capo pronto a trafiggerlo.