Di Maio, Franceschini e quelle facce che la dicono lunga…

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Il Parlamento ha accordato la fiducia al Conte Bis. Commenti? Nessuno. Anche in questo mestiere, cinico per natura, ci sono dei limiti. Solo élite disperate potevano concepire un disegno di tal fatta. Come si può sostituire un “accrocchio disordinato” con un “accrocchio confuso”, per di più con lo stesso leader, politicamente squalificato dal suo incredibile trasformismo. Un evento mai successo prima. La motivazione dichiarata? Far eleggere dall’accrocchio numero due il prossimo Presidente della Repubblica. Quindi galleggiare fino al febbraio 2022 per eleggere un altro Presidente e poi, semmai, ridare la parola agli elettori? Questo scrivono la maggioranza dei colleghi, chi con compiacimento (maggioranza) chi con sofferenza (minoranza).

Siamo a questo punto? Sì, lo siamo, cioè siamo in pieno Hotel California. Al di là del profluvio di parole disperse nell’etere in questi 14 mesi, se va avanti così corriamo il rischio che questa sia una legislatura da buttare. In questi casi l’unica sarebbe rifugiarsi nel divertissement, chiedendoci, sorridendo: è preferibile essere governati da una pochette a tre o da una a quattro punte (versione Biarritz)? Osservando alla Camera i volti dei due azionisti di riferimento del Conte Bis, Luigi Di Maio e Dario Franceschini mentre ascoltavano la successione di boutade del Premier si capiva il disastro della scelta dell’establishment.

Il precedente governo gialloverde era fatto da giovanotti di strada che bisticciavano in continuazione e non combinavano nulla (salvo in tema di immigrazione). Il nuovo governo rosso-giallo è fatto da giovanotti di strada terrorizzati di perdere sedie e strapuntini e da vecchi politicanti bramosi di occupare di nuovo sedie e strapuntini. Impassibile il Premier, autentico manager del trasformismo in soavità. Quattordici mesi fa aveva fatto il suo pistolotto in un’ottica di destra sovranista, ora ne ha fatto un altro in ottica riformista-globalista, esattamente opposto. Che dire? Sono senza parole.

Conosco da una vita Carlo De Benedetti, ho lavorato con lui, è stato un grande manager, ama la politica, so che nei momenti topici della nostra storia ha sempre fatto analisi non banali. Lo fece, in solitario, ai tempi di Mani Pulite rifiutando l’osceno schema “concussi vs corruttori” di tutti i suoi colleghi (Fiat compresa). L’ha fatta anche ora, in modo impeccabile parlando di “manager della politica”, chiedendo di andare alle elezioni. Quando noi liberali nature abbiamo paura delle elezioni significa che la nostra natura democratica si sta sfaldando.

Per quello che vale (assolutamente nulla), io non ci sto.

Riccardo Ruggeri, 11 settembre 2019

Zafferano.news

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