La situazione è ridicola, ma non seria. Il leader del partito che ha raccolto un terzo dei seggi in Parlamento, Luigi Di Maio, urlando contro la Casta e agitando le manette, ha fatto, come sapete, marcia indietro. Scusandosi con un ex sindaco, quello di Lodi, ben cucinato sulla graticola del giustizialismo grillino (e leghista), e poi assolto.
La situazione non è ridicola per le dichiarazioni di Di Maio, ma per il fatto che gli si creda. Oggi come ieri i commentatori parlano di conversione del leader a Cinque Stelle, si compiacciono della sua statura istituzionale. Sono tutte balle. Semplicemente a Di Maio il giustizialismo come posa assoluta non conviene più. Per meglio accomodarsi sui velluti del Palazzo il partito di Di Maio è disponibile a tutto: governa con colui che credevano l’orco delle privatizzazioni e dell’euro, cioè Mario Draghi, e financo con Forza Italia. Oggi se qualcuno avesse non dico memoria lunga, ma gusto per la cronaca, si renderebbe conto che Di Maio e il suo partito (dodici suoi colleghi, compreso l’ex premier Conte) soltanto pochi giorni fa hanno fatto il diavolo a quattro, ben poco garantista, contro l’attuale sottosegretario all’Economia, Claudio Durigon, chiedendone di fatto le dimissioni su un pettegolezzo. Contro i leghisti una spruzzata di manette è utile.
Di Maio è diventato improvvisamente garantista. È peggio chi ci crede, rispetto a chi ci prova. Di Maio e il suo movimento sono come una ricerca su Google: basta fare una domanda e il motore di ricerca risponde ciò che si vuole. Vincono per la prima volta un grande comune, agitando lo spettro del termovalorizzatore, e finiscono per difendere il piano di alta velocità e accorciamento delle verifiche ambientali del Recovery. Conquistano le città (vero sindaco Raggi?) contro i grandi eventi: e oggi si porterebbero a casa anche la fiera internazionale del tulipano. Il partito più sessista e misogino dell’arco parlamentare (vedere video del loro elevato Grillo) vota con il Pd la seguente favolosa semplificazione: le aziende che beccano appalti pubblici devono dimostrare di avere almeno tot donne assunte. Dopo il certificato antimafia, dopo il Durc, arriva il certificato di genere. E le chiamano semplificazioni.