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Di Maio in ginocchio dal ministro cinese

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Un colpo al cerchio e uno alla botte può essere una buona politica, in certi casi, e i democristiani ne erano maestri. Non può esserlo però nelle scelte di campo di politica internazionale, quelle che pertengono alla sicurezza nazionale. Soprattutto di fronte a una richiesta esplicita del tuo maggiore alleato, quello che in sostanza ti protegge. È per questo che preoccupano non poco le parole usate ieri da Luigino Di Maio, inopinatamente ritrovatosi alla Farnesina con il beneplacet del presidente della Repubblica (che invece aveva giudicato “inadeguato”, in un’altra fase della nostra vita politica, Paolo Savona al Ministero dell’Economia).

Sul filo dell’equilibrismo, o meglio e appunto del cerchiobottismo, il leader del movimento filocinese fondato da Casaleggio, dopo l’incontro col suo omologo cinese, ha detto sì che “la nostra appartenenza alla Nato è più forte che mai”, ma anche che con la Cina, “attore ineludibile per affrontare qualsiasi scenario internazionale”, l’Italia ha un rapporto privilegiato. Tanto privilegiato che siamo stati il primo (e per ora  l’unico) Paese europeo a firmare con Pechino, poco più di un anno fa,  gli accordi strategici della “Nuova Via della Seta”, cioè del più ambizioso progetto di penetrazione economica e culturale mai concepito da mente orientale verso l’Occidente del mondo; e da avere l’onore ieri, si fa per dire, di essere la prima tappa del breve tour europeo post-pandemico di Wang Yi. Ecco, a proposito di pandemia, il nostro ministro degli esteri ha avuto persino l’ardore di ringraziare per le mascherine ricevute dai cinesi nel pieno dell’emergenza, sottolineando il loro sentimento di solidarietà nei nostri confronti.

Ha però dimenticato tre particolari: a. che di quelle mascherine la Cina aveva fatto incetta sul mercato sapendo della pericolosità di un virus che aveva nascosto al mondo intero; b. che sembra che quei dispositivi fossero difettosi; c. e che, soprattutto, il Congresso americano, con una risoluzione bipartisan, aveva duramente stigmatizzato i ritardi, le censure e la cattiva gestione, in una parola le responsabilità, di Pechino sulla diffusione globale del Ciovid-19.

La vera partita però si gioca, come è noto, sul 5G, ove l’Italia e la Gran Bretagna avevano da tempo un rapporto avanzato con il colosso di Stato cinese Huawei. Venuti fuori i rischi reali per la sicurezza nazionale di una presenza cinese nel delicato settore delle nuove telecomunicazioni, la Gran Bretagna ha fatto una rapida marcia indietro mentre il governo italiano ancora furbescamente si dimena fra le diverse posizioni nella speranza di salvare capre e cavoli. Il fatto che Di Maio abbia definito la Cina “uno dei nostri principali partner”, non aggiungendo l’aggettivo “commerciali”, non lascia ben sperare e fa temere il peggio.

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