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Di Maio si è convertito all’estremo centro

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Pare che Giggino Di Maio, fiutato il processo di dissoluzione che coinvolge il Movimento 5 stelle, stia esplorando alternative politiche per non lasciarsi trascinare nell’estinzione. Si ipotizza un dialogo con Renzi e con gli interpreti della galassia centrista. Il ragazzo di Pomigliano d’Arco, in deroga ai due mandati elettivi escogitati dalla dottrina grillina come panacea all’attaccamento al potere, si è convertito al professionismo della politica e brama la rielezione senza limiti. Il colloquio con l’ex governatore della Bce, Mario Draghi, lascia presumere che è in atto il tentativo di costruirsi una rete di relazioni influenti per accreditarsi nei circuiti che contano e per emanciparsi dalla pubertà politica che aleggia sul Movimento.

Di Maio si è assuefatto al potere e non è disponibile a rinunciare alle sue blandizie, tanto che si sta riposizionando su contenuti moderati in una metamorfosi che lo rende irriconoscibile rispetto alle intemerate che lo indussero a minacciare l’impeachment contro il Capo dello Stato, che ostacolò i primi vagiti del governo gialloverde con il veto su Savona al Ministero dell’Economia, o ad accostarsi al radicalismo dei gilet gialli francesi. Nella comunicazione contemporanea prevale l’istantaneità e l’istintività del messaggio, sconnesso dal passato, che vanifica la coerenza del linguaggio. A conferma della incoerenza implicita alla narrazione pentastellata si potrebbero citare le abiure che hanno contraddistinto i 5s: sul Tav e il Tap, sull’alleanza con il Partito democratico, dopo averla esecrata e confinata nell’assoluta implausibilità, sull’elogio della democrazia diretta poi archiviata in favore della palude assembleare, etc.

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