Pare che Giggino Di Maio, fiutato il processo di dissoluzione che coinvolge il Movimento 5 stelle, stia esplorando alternative politiche per non lasciarsi trascinare nell’estinzione. Si ipotizza un dialogo con Renzi e con gli interpreti della galassia centrista. Il ragazzo di Pomigliano d’Arco, in deroga ai due mandati elettivi escogitati dalla dottrina grillina come panacea all’attaccamento al potere, si è convertito al professionismo della politica e brama la rielezione senza limiti. Il colloquio con l’ex governatore della Bce, Mario Draghi, lascia presumere che è in atto il tentativo di costruirsi una rete di relazioni influenti per accreditarsi nei circuiti che contano e per emanciparsi dalla pubertà politica che aleggia sul Movimento.
Di Maio si è assuefatto al potere e non è disponibile a rinunciare alle sue blandizie, tanto che si sta riposizionando su contenuti moderati in una metamorfosi che lo rende irriconoscibile rispetto alle intemerate che lo indussero a minacciare l’impeachment contro il Capo dello Stato, che ostacolò i primi vagiti del governo gialloverde con il veto su Savona al Ministero dell’Economia, o ad accostarsi al radicalismo dei gilet gialli francesi. Nella comunicazione contemporanea prevale l’istantaneità e l’istintività del messaggio, sconnesso dal passato, che vanifica la coerenza del linguaggio. A conferma della incoerenza implicita alla narrazione pentastellata si potrebbero citare le abiure che hanno contraddistinto i 5s: sul Tav e il Tap, sull’alleanza con il Partito democratico, dopo averla esecrata e confinata nell’assoluta implausibilità, sull’elogio della democrazia diretta poi archiviata in favore della palude assembleare, etc.
In definitiva, l’antologia delle fanfaronate grilline è densa di eresie alla loro catechesi spacciata per dogma intransigente. Dunque, non sorprendono le manovre occulte di Di Maio, per riconvertire la sua biografia politica in un percorso allineato al mainstream, che obbediscono allo spirito di sopravvivenza che dimora in chiunque avverta la precoce disfatta. Il filosofo canadese Alain Deneault descrive in Mediocrazia la presa del potere da parte dei mediocri e dei conformisti che hanno come riferimento ideologico l’estremo centro. Un ritratto calzante per i neomoderati mossi dallo smodato bisogno di perpetuarsi.
Andrea Amata, 15 luglio 2020