Leggete questo pezzo di Giovanni Cagnoli, presidente di Carisma, meglio di tanti politici e giornalisti ci racconta il rischio che stiamo correndo.
Sentire Conte che parla della mia libertà, utilizzando il “vi concediamo”, “potete o non potete” di cui sembra potere disporre a piacimento… per il “bene comune” è davvero complicato. Poi abbiamo anche sentito la definizione del “giusto margine” delle farmacie (quale è il giusto margine? E perché è giusto? E chi lo ha definito e sulla base di quali criteri?). A quando la definizione dei “giusti margini” da parte di altri burocrati di Stato di tutti i negozi, il commercio, la produzione?
E infine sentiamo sempre declamare gli “aiuti dello stato” e che “nessuno ci rimetterà” quando lo Stato usa i nostri soldi per gli infiniti bonus e aiuti che vengono presentati come opera dello Stato quando altro non sono che tasse future pagate dai cittadini allo stato, e non altro. Questo è uno stato neo-comunista e illiberale. La differenza rispetto alla Cina è che loro sono un regime comunista con un comportamento economico e una cultura dominante iper liberale.
Noi siamo un regime “democratico” con un comportamento economico e una cultura dominante neo-comunista e statalista. La loro dittatura fissa regole feroci e le fa rispettare in modo militare, ma lascia ai privati elevatissima libertà economica, ai limiti del dumping sociale come noto con condizioni di lavoro e di protezione dei singoli eticamente inaccettabili (basta andare in un loro stabilimento per rendersene conto).
Noi fissiamo una moltitudine infinita di regole, permessi, autorizzazioni, verifiche, controlli, autocertificazioni che vengono poi controllate, procedimenti amministrativi, regolamenti attuativi, ispezioni, certificati di conformità, nella assoluta e pervicace convinzione che cittadini e imprese siano disonesti, evasori fiscali, i datori di lavoro siano pericolosi criminali, tutti siano civicamente irresponsabili, cultori dell’illegalità diffusa. Salvo poi perdere qualsiasi capacità vera di controllo proprio per la confusione delle norme (definizione di “congiunto”, aprire le concessionarie auto ma non ci si può andare liberamente e mille altri esempi), la volontà totalmente assente di applicare le norme (evasione fiscale ad esempio) quando lo stato si rende conto di essere “impopolare”, l’incapacità più assoluta di fare rispettare la legalità (mafia e criminalità organizzata al sud) quando lo Stato non è oggettivamente riconosciuto dalla popolazione come entità in grado di fare rispettare la legge.
I cinesi limitano la libertà di espressione e lasciano libertà di iniziativa economica amplissima, nella convinzione che il benessere dei loro cittadini dipende dall’iniziativa privata. Noi abbiamo (per ora…) libertà di espressione e una libertà economica solo apparente. Il Covid-19 è stato un’eccellente occasione per limitarla ancora di più e come è evidente dopo averla limitata brutalmente, qualsiasi concessione viene centellinata, lentamente, con vincoli infiniti che alla fine resteranno almeno in parte e andranno ad aumentare la lista già enorme delle “prescrizioni” per il bene comune. Alla fine è l’ideologia marxista sconfitta dalla storia che rientra prepotentemente dalla finestra, sfruttando anche i social media e la promessa di mirabolanti risultati senza mai chiarire… chi paga il conto. Così come adesso la “sconfitta del virus” sembra essere senza un costo, che invece esiste ed è drammaticamente alto e che richiede la gestione del rischio, non la chimerica eliminazione del rischio con cui la politica abdica vigliaccamente alla responsabilità dell’equilibrio tra rischio economico e rischio sanitario.
Il “bene comune” definito dallo Stato nella sua presunta infinita conoscenza e capacità è la scusa ufficiale per limitare con ampio consenso popolare, la libertà costituzionalmente garantita al lavoro, al culto, al movimento personale, all’iniziativa economica. Non c’è limite alla definizione del “bene comune” in particolare la salute, ma un domani anche, perché no, il sostegno allo Stato che ne ha bisogno, l’eguaglianza, la sequela infinita dei “diritti inalienabili” e altre idee sicuramente popolari tra coloro che non trovano successo e soddisfazione nel costruire nell’intraprendere e quindi nell’assumersi anche i doveri che ne conseguono. Perciò stiamo per entrare in uno cornice di Stato sempre più illiberale, che mortifica l’iniziativa privata, la reprime (definendo per esempio il “giusto margine di profitto”) sempre spinto da motivazioni nobili e comunemente rispettabili come la difesa dei cittadini.
Manca completamente la nozione che lo Stato siamo noi tutti, rispettosi e alcuni ahimè meno rispettosi delle regole comuni che ci siamo dati. Lo Stato sembra essere un corpo indipendente che dispone del suo potere secondo la popolarità sui social del singolo provvedimento e quindi il capriccio del momento. Lo Stato si arroga a entità indipendente e utilizza le risorse di lavoro, ricchezza generata e quindi tasse dei privati per dotarsi di una sua “infrastruttura” per regolare, imporre, e in ultima analisi reprimere le libertà fondamentali dei privati. Come se alla fine fosse Hal in “2001 odissea nello spazio” che per il bene dell’astronauta… lo uccide, per evitare che l’astronauta (il cittadino nel nostro caso) possa limitare legittimamente il suo potere. Lo stato/Hal si sta trasformando da struttura di supporto e regolazione a dominus incontrastato della nostra vita.
Questa nozione dello Stato, relega i cittadini alla prerogativa di sudditi, che devono per dovere portare risorse allo Stato, di cui poi lo stato dispone liberamente e senza rendere conto. E se le risorse portate non bastano (come è in questa fase è come è stato nel periodo 1980-1993 quando il debito è,schizzato,dal 60% al 120% del Pil) lo Stato prende a prestito definendo come sudditi ancora più vessati i futuri cittadini che notoriamente non votano, per mantenere inalterato il suo potere e il suo consenso. Pur di essere “popolare” lo Stato non chiarisce la portata dell’operazione massiva di trasferimento intergenerazionale, non spiega ai cittadini/sudditi le condizioni necessarie e sufficienti per uscire dalla trappola mortale del debito eccessivo. Semplicemente prende a prestito e “magnanimamente” si propone come il sovrano generoso che aiuta le fasce deboli. Così come negli anni ’80, lo stato incapace di gestire l’emergenza terrorismo e il conflitto sociale, magnanimamente ha accettato di trasferire risorse in tutti i modi ai privati (baby pensioni, scala mobile, evasione fiscale tollerata, trasferimenti massicci al sud, cassa del mezzogiorno) senza porre il tema oggi chiarissimo e drammatico di chi avesse poi sopportato l’onere di tanto sperpero .
Negli ultimi 30 anni lo Stato ha proclamato mille diritti per tutti. Diritti sacrosanti a parole, ma tutti con un costo. Pensione, sanità, welfare, sicurezza, istruzione adesso salute. Anche il “diritto” al posto di lavoro, non al lavoro. Il diritto al titolo di studio, non alla possibilità di conseguire il titolo di studio. Il costo però c’è ed è evidente e se non c’è sviluppo economico e generazione di risorse per pagare questi costi diventa insostenibile (ammesso che non lo sia già ora). Ma lo Stato mai ha ricordato o chiarito che insieme ai diritti, anzi come condizione necessaria è indispensabile proprio per avere quei diritti, ci sono doveri altrettanto ovvi. Il dovere al lavoro, alla fedeltà fiscale, il dovere all’impegno e alla correttezza sul lavoro, il dovere allo studio. E soprattutto si è postulato che i diritti fossero sempre primari rispetto ai doveri. Quindi ad esempio il diritto a non essere licenziato viene sempre e comunque prima rispetto al dovere di impegnarsi sul lavoro nella presunzione che l’impresa sia sempre non etica e il lavoratore sia sempre etico.
Ora siamo al bivio. Il nostro debito è troppo grande. Se non si reinstaura anche brutalmente e rapidamente una cultura del dovere, non saremo in grado di ripagarlo. Magari non subito perché c’è la Bce, ma tra breve succederà. La rivoluzione copernicana che dobbiamo fare è una rivoluzione di arretramento dello stato dall’economia, reinstaurazione della cultura del dovere, chiarimento e esplicitazione del ruolo dello Stato e dei suoi limiti, completa distruzione dell’enorme burocrazia basata sulla sfiducia nel cittadino. Purtroppo la rivoluzione passa proprio da un radicale cambiamento anche della vasta maggioranza di funzionari, burocrati, commissioni, task force, incaricati e consulenti che proprio dalla macchina pervicace dello Stato accentratore traggono il proprio sostentamento a ampio potere. Sono come il virus. Sono dentro di noi, difficilissimi da estirpare, si muovono e si riproducono costantemente… fino a che, a volte, uccidono il loro ospite, nella fattispecie noi stessi tutti insieme e cioè il nostro Stato.
Invertire questa deriva è difficilissimo. Chi ne parla viene additato come un pericoloso sovversivo, un “liberista” , un cultore del profitto a ogni costo, un capitalista che non ha capito il fallimento del modello ultra liberista. Purtroppo è vero esattamente l’opposto: la difesa dei deboli (bambini, pensionati, i più poveri, i meno fortunati) passa razionalmente solo per una consapevolezza profonda sull’equilibrio tra generazioni, tra risorse generate e risorse impiegate, tra diritti e doveri, tra l’essere cittadini liberi invece che sudditi. Tuttavia dirlo chiaramente non è popolare, ne elettoralmente produttivo anzi l’opposto.
Nella storia chi ha provato a sopprimere le libertà dei privati nella convinzione che lo Stato sappia fare meglio (Cuba, URSS e paesi dell’est prima del 1989, Korea del nord, Iran per citare gli ultimi) ha sempre fallito. L’Italia è il prossimo interessante esperimento in corso sul tema.
Giovanni Cagnoli Presidente Carisma, 4 maggio 2020