Debitamente scristianizzate le feste comandate, da Natale a Pasqua, a mezzo comunismo sanitario cui non si oppose il sommo pontefice Bergoglio, la definitiva liturgia sacrale è il Festival di Sanremo il cui papa Amadeus può fare dieci, dodici milioni di fedeli tenuti in ginocchio fino a notte fonda. E allora, alcuni consigli non richiesti per sopravvivere a Sanremo.
- Non aspettarsi niente. Non è più una rassegna di canzoni ma di influencer, cioè di tipi vuoti, senza senso, senza talento, senza futuro, gente che canta come farebbe qualsiasi altra cosa, dalle pizze allo spaccio. Avventizi con appresso l’esercito di lavoranti “all’immagine” che è l’unica cosa concreta ancorché impalpabile. Vale per gli apprendisti artisti come per gli ospiti, i conduttori, i telepredicatori. Tenuto presente questo, tutto diventa più sopportabile.
- Non fare il tifo. Che senso ha? A Sanremo tutto comincia quando tutto è già finito, per dire definito, organizzato, stabilito dalle forze in campo che sono: le case discografiche, i manager, gli sponsor, anche di matrice politica. Al di là della mortificazione umana di sostenere Tananai o Rosa Chemical, che solo un parassita “antirazzista” di stanza a Bruxelles forse merita, è improbabile credere alle classifiche, ai voti delle dieci o cinquanta giurie, nel gran gioco della lottizzazione politica: esperti, influencer (pagati per votare), “quelli a casa” (che votano pagando), giornalisti (che votano col culo o per amicizia o imboccati, e ve lo dice uno che in quella palude ci è passato), eccetera.
- Non sentirsi addosso il tempo che passa. Certo è un festival delle cere, alle faccette da sbarbati si contrappone, ne parleremo meglio, un esercito di claudicanti, di atrocemente rifatti, di assurdamente ritinti, gente che già nel 1970 si dava per superata superata. Cinquantatre anni fa, ma sono ancora qui nel paese dell’eterno ritorno gattopardesco. Del resto, a chi dicono di ispirarsi gli sbarbati sessualmente fluidificanti? All’immaginario protoqueer anni Settanta. Se uno casca nell’effetto-moviola, è la fine. Per lui, i vari Morandi, Al Bano e Vanoni saranno lì per i prossimi cent’anni a venire perché hanno sconfitto tutte le leggi della termodinamica.
- Non cercare a tutti i costi la bella canzone: non c’è..
- Non credere alle polemiche in corso d’opera, al “caso Sanremo”, alla canzone copiata, agli svenimenti e agli altri sommovimenti: è, ve lo posso assicurare, tutto parte del copione, c’è una pletora di cialtroni che lavora espressamente per questo, una delle cose più terrorizzanti a Sanremo è quando tutto fila liscio e non scoppiano scandali: allora si capisce che Sanremo è noioso, narcolettico e ha bisogno dello scazzo di turno per tirare avanti. Così, lo tirano fuori o lo escogitano alla bisogna.
- Non accanirsi sulle classifiche. Vedi punto 2. Le classifiche sono il velo sul nudo di una rassegna dove tutti vanno accontentati, chi più chi meno, e maturano in funzione dell’investimento, dunque del ritorno atteso rispettivamente per artista. Capita a volte che un outsider vinca, nella rabbiosa ma trattenuta reazione di chi si sentiva il trionfo in tasca perché glielo avevano assicurato. In questi casi succede quanto segue. Che per le vie della cittadina rivierasca, per i negozi, per i ristoranti, si comincia a canterellare, a fischiettare, comunque a riconoscere un motivetto in particolare; a quel punto si decide affannosamente di far passare quello, cioè si coglie l’attimo. Non senza aver prima stabilito congrue forme di compensazione per gli espropriati. Ai tempi di Mahmood, si preferì quest’ultimo, un Carneade direttamente esploso dai giovani, calcolando che comunque Ultimo (che la prese malissimo e arrivò in sala stampa insultando i giornalisti alle 2 di mattina) aveva già il venduto pieno su tutto il tour, e che i tre pseudotenori del Volo avrebbero fatto lo stesso in America.
- Non sforzarvi di capire “cosa c’è dietro”: di solito, dietro non c’è niente o almeno non c’è granché. C’è il soldo, ecco, il guadagno facile e maledetto, c’è il battere il ferro rovente, che tanto non dura. Quanto agli addentellati col potere vero, quello politico, non mancano ma qui provvede chi scrive queste note, se avrete la bontà di seguirlo durante la settimana festivaliera.
- Non durare fatica a evitare il Festival, a nascondersi: è vana fatica, se il Festival vuole vi scova ugualmente, e vuole sempre. Perché è parte della propaganda psicosociale. Sono un po’ patetici quelli che si vantano, ah, io tanto non lo vedo e poi aprono un sito, un giornale, uno schermo e la valanga di sciocchezze festivaliere gli frana addosso. Piuttosto, prenderlo per quello che è, con signorile distacco, ma senza farne uno spauracchio.
- Se proprio volete, provatevi a uscire dal mondo per questa settimana, però almeno seguite questo sito e chi fa il dirty work, il lavoro sporco di seguire la sporca faccenda per voi.
- State buoni se potete: evitate di dire, o di scrivere, ah che schifo, non è più il Sanremo di una volta. In effetti, era così anche una volta. Finiva alle 3 di mattina e Baudo, oltre a decidere cantanti, vincitori, vinti, ospiti, cavalli pazzi, polemiche, pretese dei partiti, equilibri interni alla Rai, cambiava pure l’armonia delle canzoni. Perché Sanremo è Sanremo, cioè una apparentemente sgangherata, in realtà formidabile e perfettamente organizzata macchina da guerra, propagandistica, commerciale, mediatica ma non esclusivamente mediatica; tant’è vero che doveva andarci anche Zelensky, e invece s’incarna in Amadeus.
Max Del Papa, 6 febbraio 2023