In questo periodo di quarantena, in cui siamo sostanzialmente agli arresti domiciliari, val la pena leggere qualche classico della nostra libreria liberale. Uno di essi è certamente La società aperta e i suoi nemici di Karl Popper. Uno dei libri più citati e meno letti dai nostri intellettuali. Per molto tempo non fu neanche tradotto in italiano e la sua conoscenza si deve al suo primo editore Armando e all’instancabile lavoro di Dario Antiseri, che lo spiegò alla platea di suoi alunni alla Luiss, quando quell’università era ancora liberale.
In tempo di certezze virologiche e non solo, Popper ci ha insegnato i quattro principi fondamentali di una società aperta. Il primo è che il nostro sapere non è assoluto, e che dunque conviene diffidare dagli spacciatori di verità inconfutabili. Inoltre, secondo principio, “il regno dei fini è politeista”. In sostanza non è detto che tutti gli uomini abbiano gli stessi obiettivi. La terza favolosa intuizione è che ogni azione ha quasi sempre effetti non previsti. Pensate ai nostri giorni. Chiudiamo le scuole per evitare il contagio e rischiamo di averlo allargato mettendo direttamente in contatto nonni e nipoti. O riduciamo orari supermercati o tram e rischiamo di rendere più affollati e dunque pericolosi gli incontri. Quarto ed ultimo aspetto è che in politica, a prescindere dall’interesse e dalla passione, si sbaglia. Ecco perché è necessaria una società aperta pronta alla “vigile ricerca dell’errore” come sintetizza bene Antiseri.
La democrazia, a differenza di altri liberali classici, è considerata da Popper, e oggi quanto lo rivalutiamo, il sistema migliore per garantire una società siffatta. Ma l’austriaco, vissuto in Nuova Zelanda per il rischio delle persecuzioni naziste, ci mette in guardia: “La democrazia non può compiutamente caratterizzarsi solo come governo della maggioranza. Infatti una maggioranza può governare in maniera tirannica. La maggioranza di coloro che hanno una statura inferiore a sei piedi può decidere che sia la minoranza di coloro che hanno statura superiore ai sei piedi a pagare tutte le tasse“.
Oggi le nostre libertà sono state compromesse per l’emergenza sanitaria in corso. Popper forse avrebbe avuto qualcosa da dire. Non solo sugli strumenti non democratici con i quali si è raggiunta la limitazione, ma soprattutto sulla decisione in sé. È sempre scorretto attribuire a un grande pensatore del passato, l’interpretazione di un fatto di oggi, come abbiamo appena fatto.
E forse, popperianamente, dovremmo pensare che la nostra affermazione, che non è falsificabile visto che Popper non può parlare, è scorretta.
Noi siamo disponibili dunque a mettere in dubbio la nostra convinzione liberale sull’eccesso di restrizioni di queste ore, ma chi ci governa è disponibile a mettere in discussione le sue certezze?
Nicola Porro per Il Giornale, 30 marzo 2020