La cosa più ignobile della brutta storia del somalo che su un autobus ne ha accoltellati sei, tra cui un bambino alla gola, è il ministro di polizia Lamorgese che esprime vicinanza alla famiglia. Non è colpa sua: Lamorgese è politicamente, amministrativamente una nullità da ministro come lo era stata da prefetto di Milano. Ma le logiche politiche sono quelle che sono e il caro Draghi, detto Supermario per decantarne la semidivinità, ha deciso di averla nel posto più sbagliato e quindi di difenderla contro ogni evidenza. La responsabilità la porta lui.
Lamorgese è ferrea, durissima, pronta a mandare l’esercito contro i refrattari al lasciapassare, ma sui clandestini è latitante e palesemente complice della tratta che li scarica, tutti, in Italia. Altrettanto colpevole e indifendibile è nei casi più incredibili come il rave party con diecimila parassiti nel Viterbese, del quale la Verità sta ricostruendo responsabilità e retroscena al limite dell’osceno, tutte ricondicibili al ministro. Lei, neanche una piega. Sa di essere inamovibile e arriva alla beffa di esprimere vicinanza a una famiglia vittima del suo lassismo connivente: il cosiddetto richiedente asilo, un balordo drogato e violento, risulta sbarcato da pochi mesi, vale a dire sotto la gestione Lamorgese, sciagurata oltre ogni dire. Andrebbe non solo rimossa, ma processata; lei perde tempo a polemizzare con Salvini, si comporta precisamente come quei boiardi di prima Repubblica che di fronte alle peggiori stragi non si scomponevano, ghignavano e tiravano avanti. E una così dovrebbe tutelarci dalle risorgenze terroristiche? Che Dio ci aiuti, che almeno illumini gli apparati di sicurezza abituati a mettere una pezza alle mancanze della Lamorgese di turno.