Esteri

Dobbiamo preoccuparci di Aleppo?

Le fazioni islamiste siriane hanno preso il controllo dell’aeroporto internazionale dopo aver conquistato l’intera città: cosa può succedere

Riflettori accesi sul Medio Oriente, non potrebbe essere altrimenti. Dopo l’attesa fumata bianca per il cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah, si è riacceso lo scontro militare all’interno della Siria. Dopo aver conquistato Aleppo, le fazioni islamiste siriane sostenute dalla Turchia hanno preso il controllo dell’aeroporto internazionale, avanzando nel nord della provincia di Hama, nella Siria centro-settentrionale. L’alleanza islamista Hayat Tahrir al Sham – composta dall’ex affiliata siriana di Al Qaeda – e altre fazioni filo-turche sono riusciti a prendere il controllo dello scalo dopo che le forze curde, alleate di Damasco, si sono ritirate dalla posizione di retroguardia assunta dopo il ridispiegamento dell’esercito siriano.

Gli sviluppi ad Aleppo – già a lungo martoriata dalla guerra civile – vanno monitorati con la massima attenzione. Complice l’impegno delle milizie sciite e delle guardie rivoluzionarie iraniane contro Tel Aviv, le forze jihadiste filo-turche hanno avuto la possibilità di riorganizzarsi e di affondare il colpo. Le fazioni, infatti, hanno preso il controllo anche della città strategica di Khan Shayjun, nel sud della vicina provincia di Idlib e al confine con quella di Hama, nelle mani del governo del presidente siriano Bashar al Assad. Non è stata un’operazione complicata: l’esercito siriano ha optato per un rapido ritiro, lasciano campo libero ai gruppi islamisti. La Russia non resta a guardare. Cacciabombardieri di Mosca hanno effettuato raid contro la periferia occidentale di Aleppo e diversi punti nella provincia di Idlib, ma la scacchiera è particolarmente intricata in questa fase. Il bilancio è di 16 vittime, ma l’avanzata dei ribelli non si ferma, anzi.

Secondo quanto filtra, la Turchia è al lavoro per ristabilire le relazioni con Damasco, ma Assad chiede il ritiro delle truppe di Erdogan dal nord della Siria e lo stop al sostegno ai gruppi di opposizione. Al momento il processo di pace di Astana traballa parecchio. L’intesa risalente al 2017, all’indomani dei pesanti bombardamenti con cui il presidente russo Vladimir Putin aveva rimesso Aleppo nelle mani di Assad, conta sulla partecipazione della stessa Russia, della Turchia e dell’Iran che si pongono l’obiettivo di trovare una soluzione politica alla guerra in Siria. Un’imposizione autoritaria per gestire il Paese e negoziare la transizione, un tentativo non riuscito a pieno: Ankara ha continuato ad avere una propria presenza militare nel nord del Paese, così come Russia e Iran hanno mantenuto una presenza costante al fianco di Assad. La stabilità è stata raggiunta, ma con il pugno duro.

La Turchia è coinvolta in primo piano. Erdogan si è posto l’obiettivo di contenere l’organizzazione curdo-siriana Ypg, impedendole di creare uno Stato curdo al proprio confine, ma non solo: il governo turco vuole evitare flussi di profughi che potrebbero intaccare il consenso del presidente. Con le ripercussioni del caso sull’Europa, che potrebbe ritrovarsi a fare i conti con l’ennesima invasione di richiedenti asilo. Secondo gli esperti, Mosca e Teheran non possono restare a guardare: i due Paesi hanno sempre sostenuto Assad, consolidandone la posizione al potere così da evitare il suo rovesciamento.

Fin dove potranno spingersi i ribelli? Dare una risposta a questa domanda è impossibile al momento. Essendo un gruppo eterogeneo, la priorità è mantenere la coesione. A differenza dell’ultimo grande conflitto, però, le forze russe sono impegnate in Ucraina. Guai a sottovalutare la situazione a Damasco. Nella serata di ieri sono giunte voci di scontri tra fazioni governative rivali, guidate rispettivamente da elementi filo-iraniani e da altri filo-russi. Siti internet di media e istituzioni governative sono bloccati e non sono venute meno le voci su un presunto golpe a danno di Bashar al Assad, che secondo alcune testate sarebbe fuggito a Mosca. Per la precisione si parla di spari vicino al palazzo presidenziale, al Four Season. “Sconfiggerò i terroristi” la dichiarazione del raìs, ma in caso di caduta di Damasco la vicenda assumerebbe contorni molto diversi.

Gli scenari potrebbero cambiare in caso di accelerata sul fronte diplomatico, al momento improbabile. Se i ministri degli Esteri di Turchia e Russia, Hakan Fidan e Sergei Lavrov, si sono sentiti per concordare che gli sviluppi in Siria sono “pericolosi”, è impossibile chiarire quanto i due governi possano gestire la crisi. Il capo della diplomazia iraniana Abbas Araghchi sarà in Siria per colloqui e poi volerà in Turchia per incontrare gli interlocutori di Ankara. Le buone notizie riguardano gli italiani, 300 in Siria di cui 120 ad Aleppo. “Non ci sono pericoli per i nostri connazionali. I ribelli hanno assicurato che non ci saranno azioni ostili contro gli italiani, i cristiani e i civili” ha spiegato il ministro Antonio Tajani, confermando che oggi partirà un convoglio dell’Onu da Aleppo verso Damasco, sul quale ci saranno alcuni connazionali.

Franco Lodige, 1 dicembre 2024

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