Società

Don Tik Tok e la frociaggine fucsia: non è solo l’albero a far schifo

Don Ambrogio Mazzai in lite col comune per il simbolo del Natale un po’ troppo rosa. Ma anche lui si piace troppo

Questa è l’ignobile commedia all’italiana per cui una faccenda ridicola ne copre una tragica, il grottesco che esorcizza lo strazio. A Verona, città inclusiva per dire piddina, dove comanda la giunta arcobalenata dell’ex calciatore Tommasi, piazzano un obbrobrio davanti alla canonica, una piramide rosa fucsia che è una bestemmia geometrica e armocromatica prima che religiosa: non è un albero di Natale, non è un simbolo di festa, è una merda che con la scusa dell’inclusione esclude tutto: nega il Natale, nega i simboli cristiani, nega la festa. Un dispettuccio immaturo, evidente, a chi va in chiesa e si trova quel calcio nelle palle.

Chiaro che il parroco s’incazza, senonché il parroco è questo don Mazzai, un giovin pretino egoriferito, dai tratti duri e stilizzati come il don Chichì di Guareschi. Che dice don Ambrogio? Che quella installazione fa schifo, e fin qui ha ragione; peccato che, essendo anche lui posseduto dai social, si metta in testa la balzana idea di chiamare a raccolta le pecorelle con uno di quegli agghiaccianti sondaggi da millennials: che ne pensate? Non è uno spreco di denaro pubblico? O è che c’è troppa frociaggine in Comune? Apriti cielo, la giunta arcobaleno risponde con una coda di paglia che va da Natale a Pasqua, un segretario locale scomoda la qualunque della discriminazione, la non inclusione, il general Vannacci, le donne, gli glbtq+ambarabacicicocò, un ciacolar da comari goldoniane che ha dell’avvilente in gente adulta, almeno all’anagrafe. Va a finire come all’asilo: “Ritira la parolaccia non inclusiva!”. “Ritira tu la piramide offensiva!”.

Il Pd la coda di paglia ce l’ha: il suo è l’ennesimo modo per compiacere chi sega le radici dell’albero cristiano, occidentale, sapendo che senza radici l’albero muore: una porcata bella e buona, con l’appendice un po’ misera per cui si attacca il parroco di campagna ma non il papa gaucho che un simile epiteto da osteria ha sdoganato. Sapendo che Bergoglio è quello che regge la baracca solidarista della sinistra, che foraggia via clero progressista tutto il giro delle ong su cui i magistrati indagano; le cose stanno così e non è colpa di chi le scrive, poi è comodo, troppo comodo rotolarsi in terra per l’oltraggio semantico. Ma come: questi del Pd non mancano un gay pride, li patrocinano pure questi carnevali in cui tutti si proclamano orgogliosamente “froci”, con tutte le variazioni possibili sul tema, e più sono oscene e più se ne compiacciono con intento provocatorio; e poi ne fanno una questione se un parroco reagisce piccato alle loro dissacrazioni?

Però anche questo don Mazzai, detto non a caso don TikTok, che non trova un modo più pastorale per dissentire! Se vai a vedere in rete, trovi che questo don Social è letteralmente ossessionato da se stesso, pare una Chiara Ferragni in abito (raramente) talare – e la vanità è femmina e pure un po’ demoniaca; lui dice che lo fa per restare in contatto coi fedeli, e qui mi sa tanto che si cade nella tentazione ex art. 8 del codice di Mosè, ‘ndemm, don TikTok, non dir balle, che tu vuoi stare in contatto con te stesso medesimo, adori te stesso, ti sei fatto feticcio. Perché uno che si spara un selfie mentre se lo sta facendo, sapete quelle foto in cui uno si guarda nello schermo dello smartphone, beh, questo, se permettete, da un prete è più discutibile della piramide fucsia.

Questa maledizione per cui i preti si son trasformati in assistenti sociali, o dei centri sociali, e di farsi prossimi ai fedeli se ne sbattono altamente la paventava già Ratzinger: ormai abbiamo la generazione V dei sacerdoti più influencer di tutti i tempi, V per Vanitas Vanitatum et omnia vanitas. È una scusa per tenerli lontani, i fedeli, altro che chiacchiere: un fedele non è un follower, se Cristo stesso rifiutava i seguaci per sé, può farlo un sacerdote? Ma per scovarne uno se ti vuoi confessare ci vuole un miracolo, in canonica non li trovi mai, si son tutti montati la testa con la storia del prete di strada, la messa, tre quarti d’ora di cantate sanremesi, con i soliti fanatici che si mettono in mostra strillando come aquile, e cinque minuti di celebrazione e via andare, una volta entro in una pieve e c’è un cartello: per confessioni chiamare al numero, eccetera. Così non va, canonica.

Posso fornire una testimonianza diretta? Nei lunghi mesi della malattia io sono stato per così dire assistito, raggiunto da un prete che sta in Piemonte, a 700 chilometri e lì sì che il social serviva: però in privato, piccoli gentili ignoti messaggi che mi aiutavano nel tunnel vuoto della disperazione. Il titolare della chiesa che mi sta a 80 metri, e sapeva tutto, non l’ho mai visto, non si è mai scomodato. Una volta ti venivano a consolare a casa, specie se gli bastava attraversare la strada. Ma questa, signori, è l’Italia, l’Italia del Natale 2024. Un posto orribile, dove nessuno si salva, ma proprio nessuno.

Max Del Papa, 6 dicembre 2024

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