Donald, il difensore dell’Occidente

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Finalmente qualcuno spezza l’incantesimo. Da settimane quella porzione di umanità che si dice “civile” sta accettando come bravata, se non incentivando come eroismo, lo sfregio continuo delle proprie fondamenta. Lo sfregio proprio in senso fisico, la devastazione teppistica di monumenti e simboli a vario titolo connotanti la nostra identità di uomini occidentali, per cui greco-romani, cristiani, illuministi, liberali, democratici (ormai altrettante parolacce, per la neolingua politically correct).

Perché la grottesca “guerra delle statue” ormai questo è: un ininterrotto processo di piazza, ma sarebbe meglio dire di feccia acefala, all’ultramillenaria storia occidentale. I cosiddetti “antirazzisti”, che sono poi gli squadristi di oggi, su ambo le sponde dell’Atlantico hanno deturpato, divelto, spaccato tra gli altri i seguenti busti. Giulio Cesare, Cristoforo Colombo, Thomas Jefferson (il padre fondatore della più grande democrazia liberale del globo), Abramo Lincoln (il presidente che per liberare la popolazione nera non ha esitato ad affrontare una guerra civile), Theodore Roosevelt, Winston Churchill (l’uomo che contro ogni evidenza riifutò di arrendersi a Hitler, salvando l’Europa e il mondo), Gandhi (Gan-dhi, accusato di razzismo e sessismo, la realtà ha superato la sua stessa caricatura), Indro Montanelli.

Ieri Shaun King, “scrittore” (facendo le scuse postume a Philip Roth) americano vicino alle squadracce Black Lives Matter (chiamarli “movimento” è obiettivamente eccesso di nobilitazione), ha invitato i suoi teppisti preferiti ad abbattere le statue di Gesù, in quanto subdole effigi del “suprematismo bianco”.

È evidente che l’accozzaglia globale di imbrattatori ha dichiarato guerra a quello che noi stessi siamo, involontariamente e a priori, ai secoli che abbiamo alle spalle e grazie a cui solo oggi continua ad esistere quell’anomalia sulla terra chiamata Occidente. Sì, finché è ancora concesso lo scriviamo, l’unico angolo di mondo in cui si aggirano quisquilie come la libertà individuale, la democrazia politica, la nozione (cristiana, non sappiamo se sia politicamente corretto ricordarlo, certo lo è storiograficamente) di dignità intrinseca ad ogni persona, il libero mercato di merci ed idee…

Allora, Dio benedica Donald Trump. Sarà fin troppo sfacciatamente irrituale, sfoggerà un toupè inguardabile, maneggerà la geopolitica con la sbrigatività del businessman (per fortuna, vien da dire, dopo gli insuccessi macroscopici del dottissimo e finissimo Barack Obama), ma ha spezzato l’incantesimo. Le guerre vanno combattute, specie se non hai scelta, se sei tu l’assalito.

Ecco allora la decisione, e il relativo tweet: “Ho autorizzato il governo federale ad arrestare chiunque vandalizzi o distrugga qualsiasi monumento, statua o altra proprietà federale negli Stati Uniti”.

Per i gentiluomini distruttori di busti si potrà prevedere anche “un massimo di 10 anni di carcere, ai sensi del Veteran’s Memorial Preservation Act o di altre leggi che potrebbero essere pertinenti”. Un defensor fidei improbabile per l’Occidente? Qualcuno è libero di pensarlo, la cronaca dice che è l’unico. Per cui teniamocelo stretto.

Giovanni Sallusti, 24 giugno 2020

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