La mattanza dei civili di Bucha, documentata da immagini che provocano repulsione e sgomento, dovrebbe imporre una consapevolezza inconfutabile sui crimini di guerra che si stanno consumando in Ucraina. La ritirata delle truppe russe dalla regione di Kiev sta lasciando dietro di sé una scia mortifera. I cadaveri abbandonati sull’asfalto, le fosse comuni tracimanti corpi imbustati in sacchi come fossero spazzatura, le case dei civili saccheggiate, gli stupri e le esecuzioni sommarie sono pagine di un dossier dell’orrore, su cui le analisi minimizzatrici non fanno altro che infierire sull’afflizione del popolo aggredito.
Il nostro ordinamento democratico riconosce il pluralismo come elemento caratterizzante che lo distingue dai regimi dispotici. Tuttavia, sarebbe auspicabile che la condanna nei confronti della brutale aggressione di Putin non venisse temperata dalla congiunzione avversativa del “ma” per limitare le responsabilità dell’autocrate moscovita, imputando alla Nato un concorso di colpa o una provocazione scatenante l’invasione russa. Alcuni opinionisti, sebbene concordi nell’attribuire al Cremlino la responsabilità della devastazione in atto, non riescono ad emanciparsi dal “ma”, facendo principiare la volontà sterminatrice di Putin alla presunta iniziativa ostile della Nato nell’allargamento ad Est.