Esteri

La fine del Commonwealth

Dopo Elisabetta II, crolla tutto

Negli ultimi decenni, le richieste indipendentiste sono state sempre più assillanti. La morte della regina può essere il punto di svolta

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Ormai da tre giorni, il regno britannico più lungo della storia monarchica ha conosciuto la parola fine: 70 anni e 214 giorni. Solo l’assolutismo di Luigi XIV, che salì al trono francese all’età di soli cinque anni, è riuscito a far meglio: 72 anni e 110 giorni. Ma era un’Europa diversa, una storia ed un contesto imparagonabili, totalmente differenti. La morte della regina Elisabetta rappresenta la fine del XX secolo, quello che, in un libro dal titolo Il Secolo Breve, l’analista Hobsbawn lo descriveva dal 1914, anno dello scoppio della Grande Guerra, al 1991, il termine dell’Unione Sovietica.

Al di là di approfondimenti storici e dei ricordi, di cui ci hanno deliziato anche i quotidiani italiani, il pezzo, forse più originale e prettamente politico, lo ha offerto il Wall Street Journal, la mattina seguente alla fine del regno elisabettiano.

Le nuove sfide del Regno Unito

La regina, come abbiamo appena ricordato, non ha solo rappresentato la fine del secolo passato, ma ha incarnato una nuova visione del Regno Unito. A partire dal 1952, anno d’insediamento a Buckingham Palace per Elisabetta, il Paese ha cominciato una rivoluzione, che lo porterà a perdere quel ruolo geopoliticamente strategico, che lo aveva accompagnato fino alla sconfitta delle dittature nel 1945. Dall’abbandono del colonialismo, passando dalla grave crisi economica degli anni ’70 (risolta grandiosamente grazie agli undici anni di governo di Margaret Thatcher), per arrivare alle rivolte indipendentiste di Irlanda del Nord e Scozia, l’Europa ha progressivamente abbandonato la visione di “Regno Unito”, limitandosi a quella di “Inghilterra”; frattura ulteriormente rimarcata nel voto Brexit, dove Irlanda e Scozia votarono convintamente per il Remain.

Nell’arco degli ultimi dieci anni, i sostenitori britannici della monarchia sono passati dal 73 al 62 per cento. Certo, rimane ancora un vantaggio considerevole, ma non si può tenere nascosto un calo drastico dei consensi, soprattutto tra le nuove generazioni del Regno Unito. In occasione della morte della regina, il nuovo leader del Kenya, Paese membro del Commonwealth, ha ricordato la valenza simbolica del monarca, simbolo di violenza e tragedia all’interno di quei territori centrafricani; rimembrando poi la sospensione del Sudafrica dal 1961 al 1994, oltre all’abbandono dell’organizzazione da parte dello Zimbabwe nel 2003 e delle Maldive nel 2016.

Il caso Scozia

Ma la nuova sfida, quella più rilevante, per il successore, re Carlo III, rimane sicuramente la vicina terra scozzese. Edimburgo è sotto il controllo del Partito Nazionale, il movimento che esprime il primo ministro del Paese: Nicola Sturgeon, in carica dal 2014. Dopo il tentativo fallito nello stesso anno, il governo indipendentista ci vuole riprovare e richiederà un nuovo referendum sull’indipendenza dal resto del Regno Unito, da fissare entro la fine del 2023.

Un primo banco di prova, sotto questo profilo, sarà sicuramente il primo viaggio di re Carlo in Scozia, Irlanda del Nord e Galles, accompagnato dal nuovo primo ministro conservatore, Liz Truss, in occasione della presentazione del sovrano ai territori del Regno. Nel frattempo, in Inghilterra, Carlo III è già stato accolto tra un bagno di applausi della folla. Sarà la stessa cosa anche per le altre Nazioni britanniche?

Matteo Milanesi, 11 settembre 2022