Dopo il botta e risposta tra Cina e Stati Uniti sull’origine della pandemia da Covid-19, in cui le autorità americane hanno ammesso esplicitamente come il virus abbia avuto origine da un errore nel laboratorio di Wuhan; è intervenuto anche il capo dell’Fbi, Christopher Wray, affermando in una intervista a Fox News che il Bureau ritiene che il Covid-19 “molto probabilmente abbia avuto origine in un laboratorio controllato dal governo cinese“. “L’Fbi ha valutato da tempo che le origini della pandemia sono molto probabilmente un potenziale incidente di laboratorio”, ha poi concluso Wray, specificando come non si tratterebbe di un’origine in toto naturale, ma condensata anche da omissioni compiute dal regime comunista.
Parole che hanno subito scatenato la reazione del Dragone. Attraverso la portavoce del ministero degli Esteri, Mao Ning, i vertici di Pechino hanno ribadito che “la Cina è stata aperta e trasparente, ha condiviso informazioni e dati con la comunità internazionale in modo veloce”. Anzi, “ha condiviso più dati e ricerche di qualsiasi altro Paese, fornendo importanti contributi alle indagini sulle origini del virus”. Parole che – ovviamente – devono essere prese con le pinze, posto il fatto che la segnalazione di un rischio sanitario all’Oms arrivò solo a fine gennaio 2020, con almeno due mesi di ritardo dallo scoppio dei primi casi da Covid-19.
Per approfondire:
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Oggi, però, il problema non è più la pandemia appena passata, ma i rischi ricollegati ai casi di aviaria in Cambogia. Gli esperti di salute del governo del Regno Unito, infatti, sono in procinto di elaborare un modello per lo scenario a oggi ritenuto comunque improbabile, ovvero quello che il virus muti e diventi capace di scatenare un’altra pandemia. La giustificazione: “Dobbiamo essere preparati al peggio”.
La Uk Health Security Agency sta quindi elaborando una pluralità di piani che andrebbero a valutare l’utilizzo di esami del sangue e quali mutazioni genetiche potrebbero segnalare un aumento del rischio per la salute umana. Facile è anche la strada vaccinale, visto che i laboratori affiliati all’Oms detengono già due ceppi di virus influenzali, strettamente correlati al virus circolante H5N1, “che i produttori possono utilizzare per sviluppare nuovi vaccini se necessario”, come ribadito da Adnkronos.
Eppure, Remuzzi rimane tranchant: “Adesso il rischio per l’uomo sembra essere basso. Ma in linea di principio potrebbe essere. Nel senso che questi virus possono mutare e acquisire la capacità di infettare l’uomo più facilmente di come non stia succedendo per ora”. Il virus però circola da decenni: “Rimane in circolazione da 25 anni e non è così facile” che ci sia una svolta di questo tipo, anche se in questo periodo “sono stati rilevati diversi casi nei mammiferi e anche se possono esserci delle mutazioni, in questo momento non riusciamo a prevederle”.