Politica

Dopo il Superbonus, arriva un’altra bomba sui conti dello Stato

Allarme per i bilanci: è la volta dei prestiti Sace e MCC garantiti dallo Stato

© Wavebreakmedia, Daboost e darkojow tramite Canva.com

Il governatore di Banca d’Italia, Fabio Panetta, non lo dice ma lo pensa: è peggio del Superbonus, per i conti pubblici prima e per le stesse banche poi. Rischia di scoppiare, infatti, la bolla delle garanzie assicurative concesse alle imprese durante il Covid. Un altro regalo della coppia che scotta Conte-Gualtieri, reiterato dal trio delle meraviglie Draghi-Franco-Giavazzi. Va quindi in scena una versione Made in Italy de La grande scommessa, film sulla crisi dei mutui subprime del 2007-2008 in America.

Il paragone terrorizza Meloni e Giorgetti, in ballo potrebbero esserci fino a 300 miliardi di crediti delle banche garantiti da Sace e Mediocredito Centrale. Sia Sace, attraverso “Garanzia Italia”, sia MCC, con il “Fondo di Garanzia PMI”, a partire dal 2020 hanno prestato garanzie alle banche che concedevano finanziamenti a imprese, grandi e piccole, con coperture dal 90 al 70% in funzione di fatturato e numero dipendenti. La cosa sembra però essere sfuggita di mano perché è continuata ben oltre il termine dell’emergenza pandemica. Un’altra bomba quindi sui conti dello Stato pronta a deflagrare e a far saltare in aria il bilancio pubblico.

Così come il Superbonus anche “Garanzia Italia”, di Sace, nasce sotto la stella del governo Conte (ministro dell’economia Roberto Gualtieri) nel decreto “Liquidità”. Il meccanismo ha contribuito a deresponsabilizzare sia il rigoroso accertamento del merito del credito che la stessa gestione del credito, consentendo pure di alleggerire gli accantonamenti che in parte hanno prodotto gli extraprofitti bancari a tutti noti. Il presidente Sace dell’epoca, Rodolfo Errore, si era battuto perché “la Garanzia” non venisse sperperata a pioggia procrastinando anche un finanziamento alla ex Fiat; invece Sace ha offerto le garanzie anche ad aziende il cui merito di credito suonava di amichettismo e cosi è stato anche per alcuni settori che la stessa Sace considerava pericolosi.

Qualche esempio: dai 4,95 miliardi di garanzie per sostenere il settore delle energie fossili solo nel 2023 in piena fase di sviluppo, al contrario, dell’economia green; al caso Cimolai, da quel che emerge il più grande singolo soggetto a cui Sace ha dato via libera ad un concordato, essendo esposta per 134 milioni di euro; fino a Benetton, concedendo 135 milioni di euro, eppure è stata denunciata in questi giorni dalla stessa famiglia proprietaria la mala gestione aziendale. La stessa Corte dei Conti, nel suo rapporto annuale “ribadisce la necessità che gli organi aziendali e l’azionista sorveglino con attenzione l’evoluzione della concentrazione dei rischi assunti da Sace”.

Alessandra Ricci, amministratore delegato di Sace e pare in pessimi rapporti con Palazzo Chigi e con Cassa Depositi e Prestiti, prima di ricoprire l’attuale carica per nomina dell’ex ministro Daniele Franco, era la responsabile proprio di “Garanzia Italia”. A consolidare il timore nel bilancio 2023 di Sace, solo annunciato con comunicato stampa ma mai pubblicato, la decisione dell’AD di allontanare manager di grande esperienza. Tra questi il CFO Michele De Capitani, sostituito da Chiara Maruccio che – smentendo i molti commenti letti in rete che la carriera in Sace è lenta – in soli due anni ha ben due promozioni: nel 2023 diventa Chief Risk Officer e a marzo 2024 CFO, in diretto rapporto con la Ricci che ha rimosso anche Cristina Morelli, Managing Director Business Corporate, in Sace dal 98 e apprezzata dal consiglio e dal presidente Filippo Giansante, anche lui oggi in disgrazia.

All’elenco si aggiunge Simonetta Acri e Letterio (detto Erio) Merlino. La “tagliateste” inoltre ha approntato un piano di smart working permanente a spese dell’efficienza delle pratiche e la cui lentezza è riscontrata da tutti gli stakeholders. Ricci, cresciuta all’ombra del Pd, cerca ora una nuova collocazione e tra lo stupore generale è stata vista saltellare alla convention dei 30 anni di Forza Italia. Del resto, ampliando l’argomento, il canarino nella miniera che serve a saggiare la qualità dell’aria degli interventi pubblici sul mercato dei crediti sembra davvero morto. AMCO la società pubblica che ha rilevato gran parte dei portafogli dei crediti delle banche in difficoltà lo ha svalutato per 422 milioni su 529 di valore del 2021. Non male per una società che quando va bene produce utili per 42 milioni.

La società nasce da una teoria di Banca d’Italia che per nascondere le proprie carenze di vigilanza aveva convinto il governo italiano che il mercato secondario dei crediti incagliati era preda di speculatori senza scrupoli e con un “approccio paziente” i crediti trasferiti dalle banche allo Stato si sarebbero valorizzati. La verità è che le perdite di AMCO sono un aiuto di Stato camuffato e non sostenibile nel lungo periodo, un superbonus per le banche, un velo pietoso per Bankitalia. Ma il canarino morto è un segnale d’allarme per tutte le politiche di sostegno e incentivazione fatte con l’intervento dello Stato, che al primo segnale di difficoltà delle imprese finanziate finisce per trovarsi addosso le escussioni delle garanzie Sace e MCC da parte delle banche. Alla Ragioneria Generale e all’ufficio economico di Palazzo Chigi diretto da Renato Loiero è scattato l’allarme, hanno capito di trovarsi di fronte ad un nuovo potenziale SuperBuco dopo quello dei bonus edilizi, solo che questa volta la quantificazione non è facile ed è potenzialmente esplosiva.

Forse proprio per questo e dopo la problematica missione in Italia del Fondo Monetario Internazionale, il ministro Giancarlo Giorgetti sta per gettare la spugna: non vuole diventare il capro espiatorio per i suoi predecessori a pochi mesi da una finanziaria ingestibile.

Luigi Bisignani per Il Tempo 2 giugno 2024

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