Vengo al dunque: sono antieurounionista, sovranista e nazionalista. L’Unione europea non m’è mai piaciuta e sin dal suo nascere l’ho mal sopportata, convinto, allora come ora, che si dissolverà. Come peraltro mi auguro. Cerchiamo d’esser pragmatici, anziché sognare un mondo diverso, quando diverso non può essere. Se non rammento male, la prima unificazione dell’Europa la fece Carlo Magno: il suo impero durò ottant’anni. Quella romana non fu unificazione, ma estensione di conquiste, e di Roma si era cittadini. Il sogno di Napoleone neanche val la pena citarlo, tanto fu inconcludente. Curioso che, con la Storia che tutti abbiamo imparato da Cicerone essere magistra vitae, vi sia ancora qualcuno che sogna l’Europa unita e che, al cospetto di cotanto fallimento, concluda che l’Europa unita che vuole è un’altra. E invece non è possibile alcuna Europa unita, se non per poco tempo e con la forza. Perché?
Alcuni dicono – perché hanno detto pure questo – di volere gli Stati Uniti d’Europa così come ci sono quelli d’America. Ma in America gli Stati hanno la stessa storia, le stesse tradizioni, la stessa lingua, gli stessi costumi, la stessa mentalità (naturalmente non lo stesso pensiero – e voglio vedere!) e i loro concittadini hanno persino la stessa calligrafia, per dire fino a che punto è giunta, lì, l’uniformità. L’Europa ha questo di bello: decine di lingue diverse, storia e mentalità diverse, tradizioni e costumi diversi. Poco o punto in comune hanno quello di Sassari con quello di Berlino, o quello di Lisbona con quello di Praga. Non si capisce su quali basi chiunque sano di mente possa pensare di unificare diversità così meravigliosamente inconciliabili. Se non con la forza. Delle armi o dell’economia o d’altri ricatti.
Questa Ue è nata da un atto di forza, anche se a tavolino. Quando il popolo fu interrogato, disse NO. Dissero NO i danesi nel 1992 sulla Unione e nel 2000 sulla moneta; e dissero NO i norvegesi nel 1994. I francesi dissero il loro “piccolo sì” (51% a favore e 49% contro). E nel 2005 dai francesi e dagli olandesi fu bocciata la Costituzione Ue, chiamata poi Trattato di Lisbona, votato NO dagli irlandesi. I croati neanche andarono a votare. E nel 2015 dissero NO i greci. L’arroganza è stata così smaccata che alcuni referendum contrari furono ri-votati; e altri, come quello greco, furono ignorati. Di fatto, il parlamento Ue è come quello italiano d’oggi: non v’è alcuna corrispondenza tra la gente e il palazzo.
Provate a chiedere al primo che passa per strada di dire il nome di qualche parlamentare italiano in Ue. Di non italiani neanche a parlarne. Di una Ue non v’era alcun bisogno, diverso da quello di far digerire agli europei norme decise da non si sa chi e che nessuno avrebbe approvato, se consultato in patria. “Ce lo chiede l’Europa” è stato il mantra – vera o falsa che fosse la richiesta – ripetuto dai nostri politici per scusarsi delle colossali fregature a nostro discapito.
La Germania l’ha usata per portare a compimento ciò che non le è riuscito per ben due volte. Penso alla green economy: si sono attrezzati, prima, con la produzione di prodotti farlocchi, tipo i pannelli fotovoltaici, le turbine eoliche, le auto con tot di emissioni di CO2, le lampadine così, le caldaie cosà, e via di questo passo. E poi hanno imposto a tutta l’Europa leggi che, di fatto, rendevano i loro prodotti gli unici a norma. E le aziende non tedesche o chiudevano o venivano dai tedeschi acquistate. Vi ricordate la gloriosa motocicletta Ducati? La casa madre sarebbe a Bologna, ma se ci andate è come se entraste in Germania, ché la Ducati è tedesca dal 2012.
Sono nazionalista, dicevo. Il fatto è che, a me sembra, l’unico modo per garantire a quel che normalmente si chiama popolo di avere, in un sistema democratico – e io non sono tra quelli che credono che il sistema democratico sia il meno peggio dei governi possibili – una pur piccola voce in capitolo, è che questo popolo sia unito, prima, nel cuore. Da lingua, tradizioni, storia, costumi comuni. L’arroganza della Ue ha mostrato di non avere limiti. Rammentate il giorno dopo il referendum britannico sulla Brexit? Bisogna votare di nuovo! – urlarono gli europeisti. E quanto tempo è passato affinché si formalizzasse ciò che il popolo britannico decise in libere votazioni: un supplizio interminabile da vergognosa prepotenza.
Tutti a puntare l’indice sul disastro che attende il Regno Unito, nessuno a guardarsi allo specchio e chiedersi cosa ci fosse di sbagliato nella propria esistenza. Dico, ma li avete visti questi europarlamentari: anziché mostrare un qualche segno di riscatto, si tenevano per mano e intonavano un piagnucolante valzer, intriso del più stomachevole romanticismo. Ondeggiavano, ottusi zombie, come in sala da ballo nel Titanic, mentre l’inaffondabile affondava.
Sono sovranista, dicevo. Già, perché vorrei che, nel bene come nel male, nel giusto come nell’errato, il nostro Paese decida da sé il proprio futuro e le proprie scelte. Non v’è bisogno dell’unità politica per avere buoni – ma che dico, ottimi! – rapporti tra gli Stati o, se vi piace, tra le nazioni. Nazionalismo significa consapevolezza dell’appartenenza ad una realtà oggettiva che è quella che ci accomuna per storia, lingua, tradizioni, cultura, mentalità, costumi.
Nessuna legge, nessuna decisione, né a tavolino né con la forza, potrà cancellare questa realtà. Che è oggettiva e ineluttabile. E il suo contrario non è neanche desiderabile, non foss’altro perché non è neanche divertente. Invoco la nostra autodeterminazione e, per riconquistarla, mi auguro che qualcuno si faccia fondatore, quanto prima, del partito Exitaly.
Franco Battaglia, 2 febbraio 2020