Poche ore fa, è arrivato l’annuncio di Macron: la Francia è ufficialmente in economia di guerra. A causa dell’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, delle continue pressioni cinesi su Taiwan e del progressivo riarmo di molti Paesi occidentali – Germania su tutte – anche Parigi ha deciso di agire di conseguenza.
Una decisione simile non veniva presa dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. A distanza di ottant’anni, la produzione francese tornerà ad incentrarsi sullo sforzo bellico, con alcune imprese che saranno reindirizzate alla costruzione di materiali e mezzi militari.
C’è da chiedersi, ovviamente, se Emmanuel Macron stia bluffando, cercando solo di mettere sull’attenti gli avversari geopolitici dell’Occidente, oppure faccia veramente sul serio. Stamattina, il presidente francese ha specificato come questa scelta sarà duratura nel tempo, oltre ad essere una decisione derivante da “un mondo disordinato”: “Dobbiamo creare un’industria della difesa europea molto più forte e molto più esigente, oltre ad una base industriale: l’Europa è finalmente uscita dall’ingenuità”. E ha proseguito: “Ho chiesto al Ministro delle Forze Armate e al Capo di Stato Maggiore di poter effettuare nelle prossime settimane una rivalutazione della legge di programmazione militare, alla luce del contesto geopolitico”.
Il riarmo dell’Occidente
Macron sembra fare sul serio e pare seguire l’onda innalzata dalla Germania pochi mesi fa. Il cancelliere Scholz, infatti, aveva già annunciato questo cambiamento storico, con lo stanziamento di circa 100 miliardi, tutti da destinare alla difesa tedesca. La dichiarazione fu seguita dall’aumento delle spese militari di tutti i Paesi Nato, avvicinandosi o, in alcuni casi, superando anche il limite minimo del 2 per cento del Pil nazionale.
Gli stessi Stati una volta membri del Patto di Varsavia, oggi sotto l’orbita satellitare dell’Occidente, hanno rafforzato i propri confini, schierando un elevatissimo numero di militari – vedasi i tre Paesi Baltici – oltre ad aver proceduto a richieste di adesione all’alleanza atlantica, come nel caso di Georgia, ormai da molti anni, Svezia e Finlandia.
La svolta storica del Giappone
Ma le novità non riguardano solamente l’Europa. Anche il Giappone, da sempre ostile alla politica espansionistica di Mosca (per le Isole Curili) e di Pechino (per Taiwan), ha abbassato la bandiera del pacifismo, svoltando per l’adozione di una politica puramente militare. Il Partito liberaldemocratico di Kishida punta a raddoppiare il budget della difesa, portandolo al 2% del Pil. Fino ad oggi, il valore non è mai stato raggiunto dalla potenza nipponica, anche se, già lo scorso anno, Tokyo arrivò ad attuare uno stanziamento pari a 60 miliardi.
Kishida sembra seguire quelli che sono i sentimenti del popolo giapponese. Secondo un recente sondaggio dell’Asahi Shimbun, riportato in Italia dal Sole 24 Ore, il 64 per cento dei cittadini sarebbe favorevole all’adozione di una politica militare, segnata dalla deterrenza come principale strumento difensivo del Paese. Solamente il 10 per cento sarebbe contrario alla scelta intrapresa dal governo nazionale.
L’Europa ed i suoi alleati hanno voltato pagina: la soluzione diplomatica non è più la condizione sufficiente per fermare gli obiettivi espansionistici di Cina e Russia. La stessa Difesa del Dragone, in un recente vertice col Capo del Pentagono a Singapore, ha specificato come, sulla questione taiwanese, Pechino “non esiterà a iniziare una guerra a qualunque costo”. Anzi, Taipei “è parte della Cina e il principio della ‘Unica Cina’ è il fondamento politico delle relazioni sino-americane”.
Il mondo è sempre più appeso ad un filo. Tra armi e diplomazia, tra interventisti e pacifisti, tra guerra e pace. Forse, in molti non se ne sono resi conto, ma siamo dinanzi ad uno scenario da Guerra Fredda 2.0. Tra armi nucleari, rincorsa alle armi e aumento delle spese militari, le conseguenze potrebbero essere catastrofiche. E non è detto che l’Occidente ne esca ancora vincente.
Matteo Milanesi, 13 giugno 2022