Giustizia

Dove nasce la riforma della giustizia

Il cdm approva il testo: separazione delle carriere, Csm a sorteggio. In un libro di Nordio i perché di questo intervento legislativo

nordio libro giustizia (1) © argus456 tramite Canva.com

La nostra gloriosa Costituzione è inesorabilmente invecchiata, perché delle due ideologie che la ispirarono una si è affievolita, e l’altra è addirittura scomparsa. Il cattolicesimo, rappresentato dalla firma di Alcide De Gasperi, si è secolarizzato, e Dio, anche nella liturgia, si sta stemperando in una vaga entità equa e solidale. Mentre il marxismo, sigillato dalla firma di Umberto Terracini, si è rivelato una caricatura grottesca, e talvolta sanguinaria, di un egalitarismo utopistico. Rimane, nella Costituzione, la firma di De Nicola, che avrebbe dovuto introdurre una componente liberale. Ma di liberale in essa c’è poco, e quel poco è imbastardito dal compromesso formale tra le due chiese maggioritarie, cosicché ogni nobile principio è temperato da puntigliose eccezioni.

La libertà personale è inviolabile, ma può esser limitata dall’autorità giudiziaria e, provvisoriamente, da quella di pubblica sicurezza. Altrettanto inviolabili sono il domicilio e la segretezza delle conversazioni, ma in casi particolari sono ammesse incursioni invasive. E così la libertà di riunione, che può esser vietata, la libertà di stampa, che può esser compressa, l’iniziativa economica, che può esser limitata, e infine la proprietà privata, che però deve avere – Dio sa come – una funzione sociale.

La nostra Costituzione è un continuo ripensamento di concetti troppo conservatori per placare i progressisti, troppo arditi per gratificare i conservatori, e troppo confusi per convincere ambedue. E se è vero che questo bilanciamento di interessi si trova in tutti i Paesi, è altrettanto vero che soltanto da noi ha assunto una tale alterazione di equilibri da invertire il rapporto tra regola ed eccezione. L’esempio più clamoroso è costituito dalle intercettazioni telefoniche e ambientali. Se ne fanno in un anno circa 150 mila: quasi tutte hanno coinvolto persone ignare e innocenti, alcune hanno coinvolto anche parlamentari e sfiorato un paio di Presidenti della Repubblica. Dopo essere state sapientemente selezionate e mutilate sono state consegnate alla stampa, con grave danno di immagine anche per persone estranee al processo.

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Di fronte a questa vergogna è difficile pensare che il primo comma dell’art. 15, che fissa la regola della segretezza delle comunicazioni, non ne costituisca piuttosto l’eccezione: la piccola parte di liberalismo che ornava la nostra Costituzione si è decomposta sotto i colpi di una parte della magistratura esaltata dalla sua missione sacerdotale. Ma che significa concretamente adottare i principi dell’illuminismo liberale? Significa essenzialmente questo: abbandonare la funesta utopia del cosiddetto Stato etico, che fino ad ora ha condizionato il nostro ordinamento attraverso il connubio di teorie apparentemente incompatibili: il fascismo, il cattolicesimo e il marxismo, concordi nel considerare il cittadino una creatura da istruire e tutelare, per assoggettarlo rispettivamente allo Stato, alla Chiesa e al Partito.

Una volta adottata una Costituzione realmente liberale, si dovrà infatti prendere atto che le nostre leggi sono troppo numerose per essere conosciute, e troppo contraddittorie per essere applicate. Il loro numero è inversamente proporzionale alla loro efficacia, e la loro incertezza è sinonimo di disordine, sciatteria, opinabilità e corruzione. Questo monito ci arriva da un genio romano, non un giurista, ma uno storico. Con la sua inconfondibile, icastica concisione, Tacito scolpì questa verità: corruptissima re publica, plurimae leges. L’oscurità delle leggi è aggravata dall’indecisione e dalle incertezze di tanti anni di politica oscillante e ondivaga.

Abbiamo disposizioni severe e attitudini perdoniste, una voce grossa e un braccio inerte, una giustizia lunga e il fiato corto: vogliamo intimidire senza reprimere e redimere senza convincere. Siamo anche un po’ ipocriti; contrabbandiamo la nostra accoglienza dei migranti come carità cristiana, mentre si tratta solo di impotenza e rassegnazione davanti alle spregiudicate strategie delle organizzazioni criminali.

Abbiamo decretato l’espulsione di decine di migliaia di clandestini, ma di fatto ne abbiamo rispediti indietro una trascurabile minoranza. Abbiamo guadagnato il loro rancore e perso la nostra fiducia. La riforma radicale e per certi aspetti rivoluzionaria di uno Stato liberale si propone di affrancare il cittadino dall’abbraccio soffocante dello Stato, di favorirne l’avvicinamento attraverso una semplificazione dei diritti e dei doveri, e, per quanto riguarda la giustizia penale, attuare il garantismo nella sua duplice funzione: la presunzione di innocenza e la certezza della pena. Non si tratterebbe di un ripudio delle quattro componenti della nostra tradizione culturale: al contrario, sarebbe una loro armonizzazione secondo lo spirito del tempo.

La retribuzione sanzionatoria di origine giudaica, si coniugherebbe con il principio di legalità greco-romano, mentre l’attitudine rieducativa della pena, mai contraria al senso di umanità, coronerebbe l’ideale cristiano, della redenzione dopo l’espiazione.

Carlo Nordio, estratto dal libro Giustizia (edito da Liberilibri)

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