Avrei dovuto votare un paio di sere fa per il premio Strega. Mi nominò, fuori da ogni logica letteraria, il suo grande e colto mecenate, Franco Alberti, proprietario del liquore. Ho un po’ di sensi di colpa per non aver svolto il mio piccolo compito. Ma c’è un motivo per il quale non l’ho fatto.
In aereo, proprio per andare a Roma, ho riletto le Lezioni americane di Italo Calvino. Voi direte: un ex comunista e un libro dedicato alla letteratura (come scrive bene nella postfazione mondadoriana Giorgio Manganelli) cosa c’entrano con la nostra minoritaria biblioteca liberale, per lo più politico-economica?
Ricredetevi. E leggete la prima delle sue lezioni, che avrebbe dovuto tenere ad Harvard a metà degli anni ’80. Riguarda la Leggerezza. È un piccolo capolavoro. Difficile, ma intenso. Una cavalcata dal mito greco a Shakespeare, da Cavalcanti a Leopardi fimo alla conclusione affidata a un racconto di Kafka: «Così a cavallo del nostro secchio ci affacceremo al nuovo millennio senza sperare di trovarvi nulla di più di quello che saremo capaci di portarvi. La leggerezza per esempio».
In fondo, che grande intuizione liberale! La leggerezza come critica del costruttivismo, come sradicamento di ogni pregiudizio moralistico e utilitaristico della letteratura. Leggerezza come qualità della parola in sé, al di fuori di qualsiasi costruzione sociologica. Anche come disimpegno. Come risposta – bastante in sé – alla pesantezza del tempo che viviamo.
Calvino parte subito per la sua strada: «Nei momenti in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio». La leggerezza di Calvino è quella della letteratura, ma anche delle figure retoriche che l’accompagnano. È la delicatezza con cui Perseo appoggia sulle foglie la testa sconfitta della Medusa, ma anche la neve che cade senza vento di Dante e Cavalcanti.
La leggerezza è anche quella della contemporaneità per cui «È vero che il software non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza dell’hardware, ma è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo di elaborare programmi sempre più complessi». Quella di Calvino è una «leggerezza della pensosità» che si associa «con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono».
Ecco cosa avreste fatto voi, se aveste diligentemente letto tutti e cinque i libri della cinquina dello Strega e nel contempo, poco prima di andare a votare, vi foste immersi in questo sofisticato stato di oblio, in cielo, a diecimila metri, quasi pensando di essere a cavallo di Pegaso («Dolce o salato, cosa le offro da bere?», ti sveglia la hostess di Alitalia)? Ebbene, cosa avreste fatto? Preso il motorino, cambiata la camicia, raggiunto il ninfeo di Valle Giulia, qualche saluto, e votato un pesantissimo finalista?
Sarà per il prossimo anno.
Nicola Porro, Il Giornale 8 luglio 2018