Eppure, ora come allora, lo sguardo del premier si abbassa, non fissa più l’orizzonte, ma gli scranni del Parlamento.
Monti ebbe l’ardire di chiedere – prima dell’incarico a Palazzo Chigi – una sorta di lasciapassare sul futuro, con la nomina a senatore a vita. Draghi è in condizione forse di determinare da solo, senza dover immaginare la costituzione di un partito, il proprio percorso istituzionale, negoziando con i partiti e i loro “piccoli” leader.
La statura degli altri lo rende gigante, più di quanto la propria autorevolezza – costruita al servizio delle istituzioni italiane ed europee – possa garantire: Draghi, anche per questo, ha assunto un comportamento politico incomprensibile. Aveva tutto per mostrarsi indenne dalla sindrome di Monti: eppure l’aria di Palazzo Chigi sembra aver ancora una volta turbato l’equilibrio dei suoi inquilini. Non ha bisogno del musetto ammiccante di “Empy”. Il cane da caccia di Draghi è meno smorfioso, non fa la gara del consenso. Per ora. Il suo padrone invece, sembra aver già compreso la necessità di riconvertirsi “piacendo” un po’ a tutti, a turno. In una girandola di apprezzamenti per ora non scalfiti. Ma da febbraio nessuno sarà più come prima. Nemmeno lui, il secondo super-Mario di Palazzo Chigi.
Antonio Mastrapasqua, 9 novembre 2021