Il draghismo decisionista sarebbe ben visto da molti se aiutasse a rimuovere i tentennamenti del ministro Orlando sulle politiche attive del lavoro, evitandogli distrazioni ostili allo spirito imprenditoriale come le norme sulle delocalizzazioni o come l’infinita crescita delle politiche passive del lavoro (cioè gli ammortizzatori sociali senza fine, dopo l’unicum europeo del blocco dei licenziamenti).
Si legge di un “micro intervento” sulla concorrenza in gestazione, quando si dovrebbe disboscare una foresta di privilegi e di società di servizi in agonia e in dissesto, e di un rinvio della delega fiscale, visto che non sembra più necessaria all’erogazione delle prossime tranche del Pnrr. Sarebbe un peccato grave.
La politica economica ha bisogno di decisioni senza tentennamenti, che farebbero tesoro di un presidente che “non si sente in dovere di spiegare, di perdersi nel dettaglio” – sempre citando Ferrara, e la sua nostalgia per l’uomo forte al comando – visto il tempo di partiti sempre più in crisi e sempre meno rappresentativi. Altro che concertazione alla Ciampi. Eppure, il draghismo della Bce – del “whatever it takes” – si vede poco a Palazzo Chigi. Sembra riservato solo all’alleato meno allineato con il mainstream e meno adeguato ai palazzi europei.
Antonio Mastropasqua, 7 settembre 2021