Se c’è ormai un “draghismo”, per i celebratori del premier, fa rima con “decisionismo”. Invece che sputare fuoco e fiamme, il draghismo si manifesta come “breve e cattivo”, come ha sintetizzato Giuliano Ferrara. Almeno quando l’obiettivo è Matteo Salvini. Colpevole di aver minacciato intemerate contro la ministra degli Interni, e responsabile di aver costruito una quinta colonna nel Governo, a supporto dei no-vax (o almeno no-green pass), Draghi non è andato per il sottile contro il leader (con qualche problema di leadership) della Lega.
“Il chiarimento politico lo fanno le forze politiche. È chiaro che è auspicabile una convergenza maggiore, una maggiore disciplina, ma questo governo va avanti” ha spiegato Draghi. Come dire: Salvini non è un problema. Fosse sempre così propenso a non ascoltare il chiacchiericcio dei partiti, saremmo tra i più convinti sostenitori del Governo e del suo presidente. Ma il draghismo decisionista va a intermittenza.
Rino Formica è stato “tranchant”, accomunando tutti e tre i Governi della Legislatura in un’unica matrice: «Con Conte e con Draghi siamo entrati in una fase di centrismo post democristiano di matrice andreottiana». Uno diceva “lo stiamo facendo”, l’altro preferisce: “Lo faremo”. Ma la dichiarazione di intenti è sempre il contrario della decisione, che presupporrebbe il tempo presente dell’indicativo: “Lo facciamo”.
Ma il Draghi che decide di fare spallucce contro la fronda di Salvini, non è lo stesso che ha tentennato per settimane sul testo della Riforma della Giustizia, finendo poi per partorire un semplice emendamento dell’orrenda riforma Bonafede. Pur di non disturbare il M5S e i suoi nuovi alleati, con il Pd di Enrico Letta in testa. Anche sul reddito di cittadinanza stiamo assistendo a una esibizione di indecisionismo, pronto a tutto o quasi. Mario Draghi ha detto pochi giorni fa: “Il concetto alla base del reddito di cittadinanza io lo condivido in pieno”. Cioè? Qual è il concetto base? I navigator? Il rilascio del beneficio quasi senza istruttoria? Il mercato del lavoro inquinato da una moneta cattiva che ha prodotto un forte disincentivo al lavoro, a fronte di un sussidio generoso e incondizionato?
Il draghismo decisionista sarebbe ben visto da molti se aiutasse a rimuovere i tentennamenti del ministro Orlando sulle politiche attive del lavoro, evitandogli distrazioni ostili allo spirito imprenditoriale come le norme sulle delocalizzazioni o come l’infinita crescita delle politiche passive del lavoro (cioè gli ammortizzatori sociali senza fine, dopo l’unicum europeo del blocco dei licenziamenti).
Si legge di un “micro intervento” sulla concorrenza in gestazione, quando si dovrebbe disboscare una foresta di privilegi e di società di servizi in agonia e in dissesto, e di un rinvio della delega fiscale, visto che non sembra più necessaria all’erogazione delle prossime tranche del Pnrr. Sarebbe un peccato grave.
La politica economica ha bisogno di decisioni senza tentennamenti, che farebbero tesoro di un presidente che “non si sente in dovere di spiegare, di perdersi nel dettaglio” – sempre citando Ferrara, e la sua nostalgia per l’uomo forte al comando – visto il tempo di partiti sempre più in crisi e sempre meno rappresentativi. Altro che concertazione alla Ciampi. Eppure, il draghismo della Bce – del “whatever it takes” – si vede poco a Palazzo Chigi. Sembra riservato solo all’alleato meno allineato con il mainstream e meno adeguato ai palazzi europei.
Antonio Mastropasqua, 7 settembre 2021