Draghi deve imporre un time out

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Fino alla definizione della Legge di Bilancio sono destinati a incrociarsi proposte e suggerimenti, indiscrezioni e progetti su almeno quattro questioni che toccano da vicino la vita degli italiani: reddito di cittadinanza, pensioni, riforma degli ammortizzatori sociali, politiche attive per il lavoro. Su ciascuno di questi temi si moltiplicano i “si dice” e i “sembrerebbe” e a volte persino le proposte con tanto di nome e cognome del proponente, che non sempre ha titolo per farle. Ma a due mesi di distanza dalla fatidica data del 31 dicembre (la Legge di Bilancio deve essere adottata entro quel giorno) non ci sono certezze.

Abbiamo bisogno di un “time out”. E chi può proporlo (imporlo) se non super Mario. Tra due mesi chi deve andare in pensione non sa se ci andrà. Tra due mesi chi (a torto o a ragione) contava nel reddito di cittadinanza potrebbe trovarsi escluso dall’erogazione del beneficio. Tra due mesi chi aspira a un lavoro vorrebbe avere la certezza di poter contare su Centri per l’impiego efficienti, oppure ha bisogno della sicurezza contraria di poter disporre ancora del sussidio (cassa integrazione, Naspi o quant’altro).

Invece, a due mesi di distanza da queste scadenze cruciali per milioni di italiani, si moltiplicano solo le voci. Per le pensioni si fanno cifre che non si possono nemmeno giocare al Lotto: dove si può arrivare solo a 90. La quota 102 non è traducibile nella smorfia. Oppure c’è chi vorrebbe la pensione anticipata a 63 anni ma solo con la quota contributiva accumulata. Chi invece addirittura ha proposto di agganciare la prestazione previdenziale al numero di figli neonati. E si tratta di “autorevoli” proponenti (da Tridico a Cottarelli), tutti autorizzati – e ci mancherebbe – a dire la propria (magari anche forzando qualche ruolo istituzionale), alla quale si aggiungono – e ancora, ci mancherebbe – le ipotesi di parte e di partito del politico di turno, più o meno informato dei fatti. Tutti argomenti per il prossimo talk show. Ma la vita non si consuma davanti a una telecamera.

Ecco perché invochiamo il time out di Mario Draghi. Basta. Ci sono questioni che toccano la carne viva degli italiani. Non è lecito lanciare ogni giorno un ballon d’essai. Per programmare il proprio futuro serve tempo e servono informazioni certe. Non basterà la stesura (un po’ in ritardo) del Documento programmatico di bilancio (Dpb) per sciogliere tutti i dubbi, né per tacitare le voci dal seno (e dal senno) fuggite. Ci vorrebbe un piccolo atto di imperio del premier, che quando vuole lo sa fare. Non si tratta di invocare l’”uomo forte” a tutti i costi, ma resta da auspicare qualche riduzione di delega e di assunzione di responsabilità particolare.

Time out, mister president. Non vorremmo vivere due mesi di giungla, dove ogni parlamentare diventa un cecchino e dove ogni esperto vorrebbe il posto da ministro. E dove a fare il ministro c’è spesso il meno esperto. Al Paese non basta il Pnrr per ripartire. Ha bisogno di buon senso e di pacatezza. O per lo meno si lasci il posto degli strilloni a chi vuole guadagnare like. Ma per governare – oltre al dialogo – si dia spazio a chi ascolta tutti e decide senza accondiscendere a chi lo tira più forte per la giacca.

Non vale ripetere che “si è sempre fatto così”. L’emergenza Covid ha fatto cambiare verso alla politica europea, l’emergenza climatica ha imposto i tempi della transizione ecologica ed energetica, l’Italia ha bisogno di assumere cambiamenti magari meno epocali, ma certamente più necessari. I cittadini al centro. La politica al loro servizio.

Antonio Mastrapasqua, 20 ottobre 2021

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