Draghi guida il governo dei rinvii

Dal fisco, al bonus edilizia, fino alla riforma della giustizia. Dal governo dei migliori a quello del rinvio

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Ho avuto l’onore di collaborare abbastanza strettamente con Mario Draghi, quando era governatore della Banca d’Italia e io presidente dell’Inps. Gli sono grato anche di avermi suggerito, in quel periodo, di non accettare la candidatura per entrare nel Cda di Generali, nella lista degli indipendenti. E forse ebbe ragione. Da allora (e forse anche prima) credo di potermi considerare iscritto di diritto al suo fan club. Questo non mi assimila a chi lo racconta, oggi, “lo accarezza, raramente lo graffia” come sintetizza Stefano Rolando, che ne ha seguito l’evoluzione comunicativa.

Doveva parlare solo con gli atti di governo. Come disse un anno fa, al suo insediamento a Palazzo Chigi. Ma gli atti di governo definitivi, in questo anno trascorso, non sono stati molti. Lo ha ricordato lui stesso, pochi giorni prima dell’avvio della tormentata settimana quirinalizia, quando ancora contava di trasferirsi al Colle: stesura e approvazione del Pnrr, battaglia contro la pandemia. Tutto il resto è stato un rinvio. Fisco, pensioni, concorrenza, giustizia: solo pennellate su una tela appena imbrattata; il quadro non si vede.

Prendiamo il caso dei bonus edilizia, e del bonus 110% in particolare. C’è voluto un anno per capire che si trattava della “più grande truffa” perpetrata ai danni dello Stato? C’è voluto un anno per scoprire che si trattava di una norma che invitava alla frode? Ci sono voluti oltre 4 miliardi persi per certificare che occorreva stringere la cinghia? Va bene tirare le orecchie al M5s in conferenza stampa, ma la callidità richiesta a chi governa forse richiedeva tempi di reazione diversi.

Prendiamo il caso della giustizia. Sono sei mesi che il dossier giustizia è preso e poi accantonato. La riformetta del processo penale a settembre e la proposta di riforma del Csm, in questi giorni, non sono la riforma della Giustizia. Sono norme che ci daranno punti nei complessi sistemi di compliance previsti da Bruxelles per erogare i fondi del Pnrr? Non so. Certamente la riforma della giustizia che interessa i cittadini italiani non si misura con le porte girevoli dei membri del Csm. Carcerazione preventiva, ingiusta detenzione, separazione delle carriere per i magistrati, condizioni carcerarie, tempi certi della giustizia civile, sono questi i temi che è lecito attendersi da una riforma della Giustizia.

Sono queste le urgenze dei cittadini che – ne sono stato buon testimone – hanno avuto a che fare con l’amministrazione della giustizia in Italia. Nulla di tutto ciò si è visto nella riforma Cartabia di settembre (qualche piccolo ritocco all’impianto di riforma giustizialista redatto dal grillino Bonafede, nulla più). Nulla di tutto questo nella proposta del nuovo Csm abbozzata dal consiglio dei ministri della scorsa settimana e ora affidata alle acque perigliose del Parlamento.

Non lo si scopre oggi che le norme che arrivano alle Camere senza un impianto rigoroso finiscono per uscirne solo peggiorate. Con tutte le richieste di fiducia che hanno caratterizzato il primo anno di governo di Mario Draghi (con 35 voti di fiducia in 11 mesi ha battuto anche il record di Mario Monti) si poteva anche blindare una riforma del Csm, no? Evidentemente no. Alla faccia dello “schiaffo ai partiti” che una stampa più che compiacente con il governo Draghi, ha ritenuto di vedere nell’azione del premier. Ma quale schiaffo?

Mario Draghi non ha bisogno di essere blandito per riconoscergli meriti e onori. Al vertice della Bce ha svolto un compito così forte che non ha mai richiesto di essere vezzeggiato. Ma a Palazzo Chigi non ha dato ancora il meglio di sé, nonostante il presunto “governo dei migliori”. E dopo il mancato passaggio al Quirinale ha mostrato forse qualche eccesso di nervosismo e – ammettiamolo – di arroganza di troppo, che un uomo di potere dovrebbe contenere. I cronisti e i commentatori lo hanno riportato con un pizzico di sudditanza eccessiva, ma dire “un lavoro me lo trovo anche da solo” non è stata un’uscita felice. Gli italiani non si preoccupano dei futuri impegni del premier, ma del proprio futuro. Gli chiedono che li aiuti a trovare un lavoro, non tanto che lui sappia trovarselo da solo.

Antonio Mastrapasqua, 16 febbraio 2022

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