Saper sempre cogliere l’attimo. Ora che ha lanciato un takeover sul Quirinale, chi è davvero Mario Draghi? L’uomo del Britannia e delle privatizzazioni mal riuscite o un tecnico al servizio dello Stato? Il salvatore dell’Europa o l’uomo amato da Goldman Sachs? Un capo di governo che finge di amare la collegialità o, più che un drago, un lupo solitario che si fida di un bocconiano come Francesco Giavazzi, al quale ha affidato i dossier più delicati e che sta facendo fuori, uno ad uno, tutti quei manager che, pur ottenendo risultati, non sono yes-man? E come si comporterà ora che la Procura Generale della Corte dei conti ha aperto un fascicolo sull’approvazione postuma da parte del CIPE, sulla proposta Giovannini, Franco e Draghi, del piano su Autostrade nonostante il parere contrario della stessa Corte e dell’Autorità di regolazione dei trasporti?
Proviamo a ripercorrere la traiettoria dì Super Mario.
Draghi banchiere
Il suo “whatever it takes”, pronunciato quando era a capo della Bce, rimarrà negli annali della finanza mondiale. La frase lo ha proiettato nell’Olimpo dei grandi che hanno dovuto compiere scelte difficili. Ma è veramente stato così? Nel 2012, la Bce aveva alternative all’acquisto di titoli di Stato, non solo italiani, ma di tutti i Paesi europei? Se Draghi non avesse coagulato il consenso intorno alla scelta di intervenire pesantemente, ci sarebbe stata una crisi finanziaria senza precedenti e, peraltro, la sua fu l’ultima delle grandi banche centrali ad agire. Anche gli Usa, temendo di veder travolte le proprie banche e l’economia, intervennero più volte sulla Merkel per convincerla a dare il via libera, che arrivò nonostante l’opposizione della Bundesbank.
Così Draghi trasformò una scelta obbligata in eroica, ed il suo ruolo da mediatore a leader. È una caratteristica dell’uomo, seguire la corrente senza esporsi troppo. Per arrivare in Banca d’Italia e superare il veto di Umberto Bossi, all’epoca “leader maximo” della Lega, trovò l’aiuto inaspettato di una rampante deputata della destra che riuscì a convincere Giancarlo Giorgetti – ai tempi emergente presidente della Commissione Bilancio – senza ricevere neppure un grazie. E poi ancora derivati a pioggia per entrare nell’euro, la scalata a Telecom e l’autorizzazione a Mussari per l’acquisto di Antonveneta affondando il Monte dei Paschi: questo è il Super Mario banchiere, pronto a chinarsi ma senza rimanere invischiato, qualità che sembra essere stata notata da Carlo Azeglio Ciampi che, dicono i maligni, lo chiamava ‘Mario Altrove’.
Altrovista e cinico
Al vertice della Bce, Draghi ci è giunto flirtando con Merkel e Sarkozy, proprio coloro che sbeffeggiavano in pubblico l’allora premier italiano Silvio Berlusconi, lui sì vero artefice della nomina, delegittimando la sua azione sino a costringerlo, con una famosa letterina, alle dimissioni. “È stata scritta a Roma, non a Francoforte” tuonò un inascoltato Tremonti. Da Francoforte fu poi a fianco del campione dell’austerità Mario Monti.
Il 10 settembre 2015, dichiarò che “l’accordo sul Fiscal Compact rafforzava la fiducia nella zona Euro”, mentre il 15 dicembre scorso, in Parlamento, ha affermato l’esatto contrario.
Oggi il suo sogno sarebbe di salire al Quirinale in carrozza e riuscire a insediare a Palazzo Chigi il fedele ministro Daniele Franco per evitare elezioni anticipate. Un po’ troppo per una democrazia occidentale.
Prima con Andreotti, poi con Prodi, Amato, Ciampi e D’Alema, infine vicino ai due Letta, senior e junior, a seconda delle convenienze.
Draghi premier
Ma Draghi presidente del Consiglio è diverso dal banchiere? Il suo ‘altrovismo’ si è manifestato a fine anno quando, se i giornalisti non fossero stati disturbati dai loro stessi applausi, avrebbero ascoltato Super Mario che sulla crisi energetica si limitava a stendere un pannicello caldo e sul Covid rassicurava tutti, salvo cambiare ogni 48 ore le regole, dicendo che il suo compito poteva considerarsi finito. Per non parlare, da ultimo, del Draghi che il 5 gennaio ha varato l’obbligo vaccinale per gli over 50 senza neanche metterci la faccia in conferenza stampa.
Difficile giudicare un presidente del Consiglio che arriva in piena pandemia, ma sicuramente di lui abbiamo capito che non vuole intralci dal Parlamento, dopo una legge finanziaria che presidenti della Camera con più autorevolezza avrebbero rispedito a Palazzo Chigi. A lui nessuno imputa neanche la lenta ma inarrestabile risalita dello spread, i centinaia di decreti attuativi e il record sulle questioni di fiducia, pur con una maggioranza parlamentare larghissima.
Queste mancanze di collegialità possono essere dimenticate al Quirinale? Rino Formica dice di no, “in lui prevale la cultura dei banchieri, che non hanno visione di lungo periodo”. Chi tifa Draghi spinge sull’esempio di Ciampi che, tuttavia, veniva da una militanza politica giovanile nel Partito d’Azione e aveva percorso tutti i gradini di via Nazionale. Se arrivasse al Quirinale, con Pnrr nel caos e pandemia fuori controllo, magari “Mario Altrove” potrebbe chissà reclamare per l’Italia perfino la Troika, così francesi e tedeschi sarebbero contenti. Missione compiuta, direbbe dal suo ‘buen retiro’ Angela Merkel.
Luigi Bisignani, Il Tempo 9 gennaio 2022