Pochi giorni fa Mario Draghi interveniva in Parlamento e leggeva queste parole: «Il governo è al lavoro per affrontare una possibile crisi energetica. E programma di aumentare le forniture alternative, le importazioni di gas liquefatto, i rigassificatori [applausi]. Potrebbe essere necessaria la riapertura delle centrali a carbone [applausi]. Il governo è pronto ad intervenire per calmierare il prezzo dell’energia ove questo fosse necessario… beh, sì, è necessario».
Draghi parla di “possibile” crisi energetica, ove invece la crisi è in atto da tempo, e non per i fatti di guerra del momento. Promette di affrontarla incrementando le alternative, che però sono la vera causa della crisi energetica. Avverte che “potrebbe” essere necessario l’uso del carbone, ove invece l’uso del carbone è cruciale se si vuole non dico risolvere ma anche solo affrontare la crisi. Dichiara che bisogna potenziare i rigassificatori, che invece bisogna astenersi dall’avere, come presto chiariremo.
Avrei gradito un Mario Draghi dal carattere più deciso. Ma la mia è destinata ad essere pia illusione, perché è indubbio che Draghi leggeva parole che non solo non aveva scritto, ma non s’era dato neanche la pena di leggere prima di pronunciarle. «Bisogna calmierare il prezzo dell’energia, ove questo fosse necessario…», legge il presidente, sbigottito per il fenomeno che aveva scritto quelle parole, subito dopo tentennando uno stizzito «beh, sì, è necessario». Guardate, mentre legge, gli occhi di Draghi sopra la ridondante mascherina, e vi ritroverete lo sbigottimento e la stizza, e la prova che non aveva letto prima il suo discorso.
Con gli applausi, il Parlamento si rivela vieppiù quel che ha dimostrato di essere quando non ha saputo trovare, fra 60 milioni d’italiani, un nuovo Presidente della Repubblica: il peggiore Parlamento che questa Repubblica abbia mai partorito. Fino a poche ore prima vaneggiava di transizione energetica e avrebbe impallinato chiunque avesse mai nominato “carbone”, poche ore dopo applaude quella parola. E applaude pure alla parola “rigassificatori”, senza probabilmente sapere cosa essi siano. Dio perdona loro perché non sanno quel che fanno, verrebbe da dire.
Allora, perché dire no ai rigassificatori? Dovete innanzitutto sapere che nel globo terracqueo di tali impianti ce ne sono, uno più uno meno, 60. Comincia a suonarvi il campanello in testa, vero? Non è finita. Di questi, quasi la metà sono in Giappone, che ha una popolazione doppia e un consumo d’energia triplo di quelli italiani. La sua posizione geografica e i rapporti non proprio idilliaci con la Cina l’hanno indotto a premunirsi con parte degli approvvigionamenti via nave. Insomma, se si esclude il Giappone, sono poco più di 30 i rigassificatori del mondo. In tutti gli Stati Uniti saranno 4 o 5. Sono impianti, in generale, economicamente dannosi, inutili, e anche pericolosi, e non andrebbero installati. Per noi sono anche inopportuni.
Sono economicamente dannosi perché liquefare il gas (cioè portarlo a oltre 160 gradi sotto zero) e mantenerlo tale, comporta un dispendio d’energia pari ad almeno un quarto dell’energia del gas: se il gas è il combustibile più caro che c’è, quello liquefatto è ancora più caro. Son inutili perché un impianto di rigassificazione, se alimentato quotidianamente (fatemelo ripetere: tutti i giorni!) da navi frigorifere cariche di gas liquefatto, movimenterebbe 4-5 miliardi di metri cubi l’anno, cioè nulla a fronte degli 80 miliardi di metri cubi l’anno che l’Italia purtroppo consuma. La pericolosità di questi impianti è inaccettabile se si vuol essere coerenti, visto che non vogliamo accettare quella degli impianti nucleari che sono mille volte più sicuri. Tanto per citare solo alcune delle esplosioni occorse in impianti di rigassificazione: nel 1944, a Cleveland (Usa) vi furono 133 morti e 14 mila evacuati; nel 1973, nella contea di Staten Island a New York, i morti furono 40, e nel 2004 furono 27 in Algeria e 15 in Belgio.
Infine, essi sono inopportuni per l’Italia, perché vanno nella direzione opposta a quella che si dovrebbe intraprendere, che è quella di limitare l’uso del gas per la produzione elettrica, a cui contribuisce per il 50%, che è il doppio dell’uso che fa il resto del mondo. Questo desiderio di correre verso i rigassificatori, in Italia – popolo di formiche governato da cicale – sarà forse dovuto alle leggi secondo cui anche se questi impianti non rigassificheranno alcuna molecola di metano, i loro proprietari verranno ripagati dei mancati guadagni col denaro dei contribuenti, prelevandolo direttamente con le bollette d’energia.
La ricetta – che non è una bacchetta magica, presidente Draghi – invece è:
1. riattivare, senza timidezze, tutti gli impianti a carbone esistenti;
2. ottenere dal Parlamento, ora, subito, il voto per il nulla osta a vincolare il Paese, in modo irreversibile, ad avviare l’iter per l’installazione di almeno 10 nuovi impianti tra nucleari e a carbone: i primi saranno allacciati alla rete fra 10 anni, ma se mai si comincia mai si finisce;
3. cancellare le sovvenzioni ad eolico e fotovoltaico, e usare quel danaro per implementare quanto votato dal Parlamento come detto al punto precedente. E, se si hanno gli attributi, andare in Europa a dire che le politiche di sviluppo dei Paesi non possono essere vincolate da una emergenza climatica che, primo, è inesistente e, secondo, ove mai esistesse, o la affronta tutto il mondo, nessuno escluso, o non la affronta nessuno. Ma bisogna avere gli attributi.
Franco Battaglia, 27 febbraio 2022