di Toni Capuozzo
Ci sono due propagande. Sì, però l’una è la propaganda dell’aggressore, connaturata a un regime. L’altra è la propaganda dell’aggredito, che pur di resistere e invocare aiuto deve spararla un po’ grossa. Vero, ma l’audience israeliana, che purtroppo di Storia ne ha patita, non ha abboccato al paragone tra Putin e Hitler, e al genocidio degli ucraini. E’ guerra, e mettere in conto la propaganda in Ucraina non vuol dire mettere tutto sullo stesso piano, confondere e confondersi: vuol dire semplicemente non cascarci. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha firmato un decreto in cui accorpa tutti i canali televisivi nazionali in una singola piattaforma, citando l’importanza di “una politica d’informazione unificata” sotto la legge marziale: lo riporta l’agenzia di stampa Reuters…
La guerra della propaganda in Ucraina
Adesso che la guerra si è incistata, e minaccia davvero di durare, la propaganda si è affilata, da entrambe le parti. Tra l’aggressore, ma anche tra l’aggredito. La Russia fa spot in cui i manifestanti non vengono trascinati in commissariato ma si mettono sottobraccio ai poliziotti per formare una Z. L’Ucraina rifà del buon vecchio rock, come vediamo. Va peggio quando la propaganda diventa cronaca. Leggiamo di violenze sessuali dei soldati russi. Ci vengono in mente i numeri delle violenze nella Germania che veniva liberata dal nazismo, o gli stupri etnici dei Balcani: possiamo escluderlo? Possiamo escludere che una nonna abbia fatto fuori 8 soldati russi con una torta avvelenata? Che una massaia abbia abbattuto un drone con un vasetto di cetrioli sottaceto?
Le notizie che non fanno notizia
Ci sono notizie che non diventano tali. Come quel conduttore della televisione ucraina che ha citato esplicitamente Eichmann sostenendo la necessità di uccidere i bambini del nemico, prima che diventino vendicatori. Certo, rovinerebbe il No pasaràn. Non fa notizia la diserzione di un estremista di destra americano dalla legione dei volontari: racconta che sequestrano loro i passaporti. Ci sono almeno tremila passaporti statunitensi nei cassetti. Ovviamente c’è propaganda nel guardare al mondo, e a come si schiera: Boris Johnson che dice che la Brexit è simile alla resistenza ucraina -amore per la libertà – passa inosservato. Se un attore sconosciuto si pronuncia in modo gradito, megafono, se Nikita Michalkov si esprime per Putin, gli oci cjornie, gli occhi neri, restano chiusi.
La propaganda sui morti in Ucraina
È peggio, la propaganda, quando riguarda i civili la ricerca infinita dei morti nel Teatro di Mariupol, l’eterna domanda: bombardamento sbagliato, ricerca volontaria del civile da punire perché più facile, in guerra a chi capita capita, e del resto hanno distribuito le armi ai civili, o scudo umano da esibire, quando lo scudo si spezza, allo sdegno del mondo e alla domanda di nuove armi? O solo prezzo inevitabile, senza bandiera, dell’orrore di una guerra urbana? Vale anche per i deportati. Ho visto filmati di persone fuggite da Mariupol verso le zone “russe” che raccontano di essere state trattenute a forza in città, dal battaglione Azov che occupava i loro appartamenti per farne postazioni. È impossibile? Sembra vero che ci siano treni carichi di morti russi che viaggiano nella notte. Ed è logico che li nascondano alla propria opinione pubblica, e i nemici se potessero pubblicherebbero orario di partenza e di arrivo. Ma è credibile che siano morti ormai migliaia di russi e i numero dei morti civili sono grazie a Dio bassissimi, nonostante i russi siano crudeli e bombardino le camere da letto dei bambini?
“Ma che assedio è?”
È normale che non si veda mai, anche se i giornalisti e i fotografi sono tutti o quasi dal lato ucraino, un morto militare ucraino? Li ho visti per la prima volta ieri sera, nel programma di Massimo Giletti, spintosi lodevolmente fino a Odessa. Ma il senso di quel mostrare era: dateci la no fly zone. E l’assedio di Kiev, di cui non si vantano i russi ma di cui si lamentano gli ucraini, che assedio è se i leader di Slovenia, Repubblica Ceca e Polonia arrivano in città in treno? Se funzionano i telefonini, e c’è acqua e corrente elettrica: è il primo assedio soft della mia vita. Bisogna continuare a guardare, ad aiutare, a cercare di capire, ma senza rinunciare a ragionare. In Russia sono pochi quelli che si sottraggono alla propaganda.
E in Occidente? Il giorno in cui diremo tra noi e noi questo è troppo, non posso limitarmi a lanciare salvagente, a soccorrere naufraghi, devo buttarmi in acqua, il giorno in cui diremo più armi, il giorno in cui coerenza ci porterà a dire no fly zone, sarà tardi per chiedercelo. L’unica cosa in cui si può credere sono le foto dei carri armati bruciati, e i volti dei civili che fuggono. Per quanto la propaganda di entrambi, aggressore e aggredito, ci inzuppi il pane quotidiano, sono la nuda sostanza della guerra, e non mentono. Hanno il mistero definitivo della morte, quelle Z sulle carcasse fumanti, e la solitudine senza tempo del dolore che ti porti dietro come un povero fagotto. Lì non conta la geopolitica, né il prender parte dei politici, né la chiacchiera di noi giornalisti, sul campo o in studio, è brusio. Ci sono solo quelle facce impietrite e quei ferri ritorti. Dicono poco, a volte niente, e dicono tutto.
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