Il bicameralismo perfetto lo condividiamo con la Svizzera e con gli Stati Uniti, che tuttavia hanno profonde differenze istituzionali, basate su una rappresentanza territoriale molto accentuata (Cantoni o Stati) e un sistema di forte bilanciamento con il presidenzialismo (almeno negli Usa). Il bicameralismo, ma imperfetto (cioè con poteri differenziati tra le due Camere) esiste in Spagna, Germania e Gran Bretagna. Insomma, ci sarebbero tutte le buone ragioni per mettere mano a una riforma istituzionale essenziale per contribuire a un efficientamento delle procedure normative, la premessa per ogni semplificazione legislativa e di una radicale riforma della burocrazia.
Ci sarebbero anche le condizioni numeriche per avventurarsi in una riforma costituzionale che non richieda nemmeno il passaggio referendario. Con una maggioranza parlamentare che sfiora il 90% si potrebbe procedere spediti alle quattro letture nei tempi che mancano alla fine della legislatura. Ci vorrebbe la sfrontatezza di un Matteo Renzi per scuotere il paludato immobilismo del Palazzo. Una sfrontatezza magari depurata da quell’eccesso di bullismo politico e di tracotanza che hanno segnato la parabola discendente del senatore con il senso degli affari.
Il timore è che il minuetto del Quirinale – e le conseguenti carole tra Palazzo Chigi e le urne prossime venture – imponga un ritmo inadatto alle esigenze di cambiamento del Paese e delle sue Istituzioni, indipendentemente dalla qualità personale del prossimo inquilino. Dobbiamo sperare (e aspettare) un nuovo Matteo Renzi?
Antonio Mastrapasqua, 31 dicembre 2021