Cronaca

Due pesi e due misure: cosa non torna nella sentenza del giudice Apostolico

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Al di là degli aspetti meramente giuridici, la vicenda dei 4 tunisini liberati dal giudice di Catania, Iolanda Apostolico, rappresenta un vero e proprio pugno nello stomaco per tutti quei cittadini italiani che hanno costantemente a che fare, per le più disparate ragioni, con ogni ambito della pubblica amministrazione.

Personalmente ne ho avuto una dimostrazione plastica proprio in questi giorni, in cui – a seguito di una lunghissima istanza presentata all’Arera per una errata fatturazione della cosiddetta bolletta della luce – mi è stato chiesto, insieme all’invio della copia dell’ultima fattura sbagliata, di produrre per la centesima volta la copia del tesserino sanitario che attesta il mio codice fiscale. Ora, ricordando per l’ennesima volta all’operatore di turno che quel tesserino non ha alcun valore documentale e che il codice fiscale si declina, oltre ad essere riportato su tutte le fatture già inviate, questa la risposta standard che ho ricevuto: lo sappiamo, ma lo ce lo deve comunque mandare.

E questo è solo un piccolo esempio di quel mare magnum burocratico nel quale domina incontrastata l’inversione della prova ed in cui senza il misterioso Spid, alias identità digitale che impone complesse procedure di verifica, oramai non si fa più un passo nel meraviglioso mondo delle scartoffie virtuali. In sostanza, nei confronti dello Stato noi siamo semplici numeri la cui semplice parola, la tanto decantata autocertificazione, vale meno di un soldo bucato, se essa non è corredata da una voluminosa collezione di copie conformi, di certificazioni ad hoc,  di bolli, bollini e ceralacca. E nel caso manchi qualcosa al nostro ingombrante fascicolo, vi è sempre il rischio concreto di dover ricominciare da capo la defatigante procedura, come ben sanno i nostri disgraziati connazionali.

Ebbene, nei riguardi dei 4 tunisini, di cui uno di essi già espulso per aver commesso alcuni furti, pur essendo giunti clandestinamente in Italia, è accaduto l’esatto contrario. La loro parola è stata sufficiente per convincere il giudice ad annullare il provvedimento di trattenimento disposto dal questore di Ragusa. Malgrado nessuno di costoro risultasse essere un perseguitato politico, le loro surreali storie, basate su strane faide con genitori arrabbiati, creditori inferociti e cercatori d’oro idrofobi, sono state ritenute assolutamente attendibili.

Che dire a questo punto, di fronte a questa colossale dicotomia? Forse abbiamo sbagliato a nascere in Italia. Vista la facilità con la quale i nostri 4 ospiti d’oltremare sono riusciti a convincere un così alto rappresentante dello Stato, converrebbe quasi chiedere la cittadinanza in uno degli Stati del Nordafrica, per poi tornare clandestinamente nel nostro disgraziatissimo Paese, così da godere di tutte la guarentigie dei rifugiati, tra le quali la facoltà di raccontare qualunque frottola ci venga in mente in quel momento.

Claudio Romiti, 6 ottobre 2023