Sabato 4 marzo sulla facciata del liceo Carducci di Milano apparve uno striscione con una immagine a dir poco inquietante. In esso erano infatti ritratti, a testa in giù e con gli occhi sbarrati da due croci, il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara. Gli studenti che ne erano autori volevano in questo modo protestare contro la “scuola del merito” che è nel programma dell’attuale governo.
Ovviamente, ogni critica è legittima ed ogni espressione del pensiero, anche di quello molto confuso che hanno questi ragazzi del Carducci, è libera. C’è però un limite, per quanto sottile, che non andrebbe mai travalicato: quello che separa la libertà di opinione dall’istigazione alla violenza. Che questo confine sia stato abbondantemente superato, ne siano consapevoli o no, dai liceali autori del gesto, è indubbio. Mettere due politici a testa capovolta richiama, infatti, nella memoria comune uno dei più barbari episodi della Resistenza antifascista (che pure, nonostante l’agiografia, ne ha non pochi): quello dell’esposizione dei corpi di Mussolini e della Petacci dopo la loro uccisione a Piazzale Loreto (che fra l’altro è non molto lontano dalla sede del Carducci).
Dopo una seria istruttoria, e dopo che alcuni degli studenti che avevano ideato l’operazione si erano autodenunciati, la scuola ha deliberato una sanzione per i responsabili: dieci giorni di sospensione e l’obbigo di frequentare 18 ore suddivise fra educazione civica e lo svolgimento di attività socialmente utili. Ci sembra una punizione esemplare ma anche proporzionata rispetto all’entità del fatto commesso.
Per approfondire
Senonché a questo punto è comparso sui social un comunicato del Collettivo studentesco in cui viene giudicata “umiliante” la punizione inflitta dall’istituto agli autori del misfatto. “Una studentessa – dice il comunicato – è stata costretta a trasportare a mano, in uno scatolone, più di un centinaio di componenti di vecchi computer e a spostare delle vecchie mattonelle con dei secchi per una discesa non asfaltata e dei sacchi della spazzatura”. Operazioni che, “a detta del personale Ata, che sorvegliava la ragazza mentre eseguiva gli incarichi, erano posticipate da tempo, ma in occasione della sanzione se ne è subito approfittato per portare tutto a termine”. Inoltre, gli studenti incriminati sono stati costretti a dare una botta di vernice a muri sporcati negli anni da scritte e disegni.
Lavori, direi, che qualcuno doveva pur fare, ma che gli studenti, “rivoluzionari” per modo di dire ma “borghesoi” di fatto, hanno ritenuto a loro con confacenti e, appunto, “umilianti”. Sembrano, le loro, affermazioni “innocenti” ma, a ben vedere, sono lo specchio fedele di una società ove tutto è permesso, ove le colpe non si espiano, ove la suscettibilità è massima e ove l’educazione viene concepita come fosse un pranzo di gala tutta attenta a non “offendere”. Che tempra e carattere morale può mai formarsi in quest contesto non è dato sapere. Mentre quel che è certo è che l’educazione che la nostra civiltà ha riservato alle sue élites (e non solo) ha sempre previsto sacrifici e “umiliazioni” ben ponderate, tappa imprescindibile per la formazione di quel carattere e di quella tempra.
Questo concetto, fra l’altro, era stato espresso già dal titolare del ministero di Viale Trastevere poco dopo il suo insediamento. In quell’occasione Valditara aveva usato proprio lo stesso termine di “umiliazione”, dicendo appunto che essa “serve per far crescere gli studenti”. Inutile dire che il ministro anche quella volta fu subito silenziato e aggredito dai media di parte che dominano l’informazione.
Corrado Ocone, 30 marzo 2023