Politica

E invece è sbagliato vietare il corteo Pro-Pal

Le opinioni orribili si battono con le idee, non con i divieti. Ma patti chiari e amicizia lunga: chi sgarra in piazza poi non pianga

Piantedosi corteo pro pal

Ieri abbiamo chiesto al nostro Del Papa: “Ehi, Max: cosa ne pensi del divieto imposto dal Viminale per la manifestazione del 5 ottobre dei pro-Pal?”. La risposta è stata una sorta di lacerazione interiore, più che comprensibile, tra la convinzione che “soffocare il dissenso” non sia “la migliore delle opzioni” e la necessità di tutelare la tenuta del Paese. Di fronte all’atroce “dilemma della democrazia” -cioè fino a quando sia giusto “tutelare il diritto di chi vuole travolgerla”- la risposta è stata: la “sovversione attiva” di chi inneggia a Nasrallah non può essere accetta, dunque la scelta del povero ministro Piantedosi è tutto sommato comprensibile. Max non me ne voglia, ma su questo punto dissento.

È vero che le tesi, le grida e gli inni di chi spaccia il massacro del 7 ottobre per “resistenza” sono orribili, forse sovversive, di certo inaccettabili. Ma sono opinioni e, in quanto tali, da rispettare sempre e comunque. Chi, come noi, ai tempi del Covid difendeva pure la libertà dei “No Vax” di scegliere di non vaccinarsi o contestava l’applicazione di un “pass” per la libera circolazione delle persone non può non storcere il naso di fronte ad un divieto imposto dall’autorità di fronte alla legittima, per quanto odiosa, espressione di un orribile pensiero. Free speech è anche hate speech. Perché oggi la mannaia (sia essa del governo, di Meta o dei giornali) cala sui pro-Pal, ma ieri veniva applicata ai no-Pass e dopodomani, chissà, ad una qualche idea poco affine al potente di turno. Tifare Hamas e Nasrallah è illogico, ideologico, sintomo di poca informazione e molto odio anti-Israele, ma non è anti-costituzionale. Se poi durante il corteo faranno apologia di un qualche crimine o commetteranno reati, ci penserà la magistratura. O almeno dovrebbe, in una democrazia sana.

Il ministro Piantedosi ritiene che “celebrare il 7 ottobre come esaltazione di un eccidio” sia orribile e dunque “non era possibile lasciar fare”. Comprensibile. Ma quando l’autorità pubblica si mette a decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato celebrare, stiamo già imboccando la strada del non ritorno. Una democrazia è pienamente compiuta quando ignora certi rigurgiti e li gestisce con le idee, anziché che con i divieti. I Pro-Pal vanno combattuti sui giornali (e noi l’abbiamo fatto), nei dibattiti, in società, protestando quando le Università invitano ex terroristi a parlare come se nulla fosse o quando i centri islamici pregano per il leader di Hezbollah. Certo bisogna difendere i luoghi sensibili, come le sinagoghe, e controllare coi reparti adeguati possibili infiltrazioni terroristiche. Ma non bisogna cadere nell’errore di aizzare la convinzione dei pro-Pal di essere “contro il sistema”, perseguitati dai “fiancheggiatori dei sionisti” e altre scemenze varie.

Altro discorso riguarda la questione operativa. Piantedosi ha il difficile compito di dover gestire l’ordine pubblico e grandi manifestazioni a Roma di esagitati che tifano la jihad posso risultare difficili da contenere. Da questo punto di vista, è logico il tentativo di prevenire anziché curare. Ma siamo sicuri che negare l’autorizzazione risolva il problema e non finisca invece per acuirlo? Le organizzazioni pro-Pal hanno confermato la loro presenza in piazza e i precedenti di centri sociali, anarchici e affiliati ci insegnano che non si tireranno indietro. Con ogni probabilità saranno ancor più infuriati, rendendo se possibile decisamente più complicato il lavoro della polizia.

Sia chiaro: il corteo andava autorizzato, ma mettendo in chiaro le prescrizioni. E soprattutto le regole di ingaggio. L’autorità pubblica definisce con gli organizzatori un percorso e sono vietate deviazioni, deturpamenti, molotov contro gli “sbirri”, minacce alle sinagoge, violenze e le solite schifezze dei manifestanti di professione. Patti chiari e amicizia lunga: chi sgarra paga o si prende una manganellata. E poi non va a piangere dalla mamma, come successo a Pisa.

Giuseppe De Lorenzo, 3 ottobre 2024

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