Eh, ragazzi, nella democrazia di massa la propaganda è tutto, per questo i sinistri scrutano insonni al microscopio ogni virgola altrui. L’ultima è questa: il generale Vannacci ha detto che per gli studenti disabili ci vogliono classi separate. Poiché si è candidato con la Lega, addosso. Si fosse candidato col Pd, elogi e dibattito costruttivo.
Al grido di lesa inclusione, pure i pavidi del centro, del centrodestra e della destra hanno preso le distanze per evitare le sassate. Non hanno mai capito che contro chi grida bisogna gridare di più, e se la fanno sotto a ogni piè sospinto, così lasciando il campo, l’iniziativa e la narrazione alla sinistra. La quale finisce sempre col comandare a forza di parole (non sapendo fare altro), un’egemonia culturale che si regge solo, ahimè, sulla pavidità degli altri.
Ma andiamo a vederla da vicino, quest’ennesima diatriba. Eh, nella patria di Dante l’immagine è quella del Giudizio Finale: Dio, che deve separare le pecore dai capri, ha alla sua destra l’Arcangelo Michele, Psicopompo e Pesatore di Anime. Alla sinistra (non a caso) Satana, l’Accusatore. La scena è questa. Uscendo dall’allegoria, posso solo addurre un’esperienza personale, avendo (tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…) insegnato alle superiori. Ebbi una classe in cui c’era un ragazzo cieco (non dirò «non vedente» perché scrivo su un blog no-woke). I compagni, va detto, si facevano in quattro per includerlo, anche nelle loro festicciole, anche nelle gite. Ma a scuola la situazione era sconfortante. I temi e le versioni doveva per forza di cose scriverli a macchina, il rumore della quale deconcentrava gli altri. I quali non potevano lamentarsene per non essere tacciati di “senza cuore”.
Lo sfortunato, dovendo consultare i suoi dizionari in braille, riusciva a trovare la voce che gli interessava solo dopo lunghe tastate, spesso fin da pagina uno. Infatti, non completò mai un compito. Si aggiunga il fatto che l’essere disabile non lo esimeva dall’essere come tutti gli altri studenti per il resto. Cioè, leggermente sfaticato. Non potrei dire se ci marciasse o meno, non lo so. So solo che all’ora degli scrutini l’imbarazzo era palpabile. I colleghi insegnanti non sapevano come fare per uscire dal brago: attribuire tutte le sue insufficienze (in matematica era il disastro) alla disabilità o trattarlo come il resto della classe?
Finiva sempre che il barile veniva scaricato sull’anno seguente. Promosso, ogni volta.
Così, riuscì a superare perfino l’esame finale e, lucrando dei posti riservati ai disabili, trovò subito lavoro. Mentre i suoi compagni no. Per giunta, il rallentamento generale dell’apprendimento a causa della sua presenza sfornò una classe di poco preparati che avevano il solo torto di non essere disabili.
Morale, credo che Vannacci abbia voluto dire questo: separando i disabili dagli altri in classi apposite si fa un piacere a tutti, disabili per primi. Oggi la tecnologia permette molto di più e di risolvere problemi del genere con facilità. A patto che si smetta con le lagne emotive.
Come recita il motto dell’Osservatore Romano, giustizia è dare «unicuique suum», a ciascuno il suo, non a tutti la stessa cosa. Questo è egualitarismo wokista, e provoca solo disastri. Dareste una sedia a testa anche a uno che pesa duecento chili? E’ ingiustizia dargliene due? Ma la verità è che ai sinistri dei disabili non frega una mazza, com’è noto e come, purtroppo, nessuno ha il coraggio di dirglielo in faccia. Il potere vogliono, e per averlo sono disposti a tutto. A tutto.
Rino Cammileri, 28 aprile 2024