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E la chiamano pure Liberazione

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“Fischia il vento, soffia la bufera / scarpe rotte, eppur bisogna andare / a conquistare la rossa primavera / ove sorge il sol dell’avvenire”. Son passati più di 70 anni da quel 25 aprile in cui l’Italia, grazie alle armate alleate, si liberò dal fascismo. O, meglio, da fascista che era, divenne, per convenienza o pentimento poco importa, di colpo rigorosamente antifascista.

Il mito della Liberazione

D’altronde, un mito fondante il Paese, ritornato alla democrazia, sempre per volere degli alleati, pur doveva averlo o darselo. Solo che era un mito che si fondava un po’ sull’autoinganno, e cioè appunto che occultava il fatto che gli italiani, quasi tutti, fascisti erano stati con adesione e in spirito. E non far chiarezza sul proprio passato, su quel che si si era giusto un attimo prima, non è mai qualcosa di positivo: il “rimosso” riaffiorerà quando meno te lo aspetti e ti chiederà il conto, dice la psicoanalisi. Intanto, quei pochi giovani – un po’ “giovani” appunto, e quindi immaturi e idealisti, e un po’ “manipolati” – che avevano combattuto sulle montagne, e soprattutto dalla parte dei “rossi”, non si ritrovarono la “rossa primavera” ma un rassicurante e prosaico (proprio come è la democrazia) regime democristiano. Alla sua ombra maturarono le libertà vere, quelle liberali, e anche un vitale boom economico. Ma quei giovani, che ormai non erano più tali, non si persero d’animo: anche se le scarpe rotte erano divenuti comodi mocassini borghesi o anche pantofole da salotti ben riscaldati ove il vento e la bufera né più fischiavano né più soffiavano, al sogno della “rossa primavera” essi non rinunciarono presto.

Antifascisti fascisti

In verità, più che un sogno sarebbe stato un incubo, come era evidente ormai a un po’ a tutte le persone di buon senso. Ma il buon senso, al contrario di quel che pensava Cartesio, è la cosa meno ben distribuita al mondo. E si sa anche che le strade dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni; e che se poi qualcuno le vuole imporre, proprio perché “buone”, anche agli altri e ai “cattivi”, si finisce sempre per essere intolleranti, e cioè fascisti, specularmente: fascisti col segno cambiato, ma sempre tali. Sembra essere stato Mino Maccari, il geniale bozzettista, a suggerire a quell’altro geniaccio che fu Ennio Flaiano la famosa frase: “Ci sono due fascismi, quello dei fascisti e quello degli antifascisti”. Aggiungiamo “rossi”, per la precisione.

Il 25 aprile con le bandiere rosse

Intanto gli anni passavano, i rossi ammainavano le bandiere un po’ in tutto il mondo, ma gli animi non cambiavano. Fiumi e fiumi di retorica sulla “Liberazione” che c’era stata ma anche sulla “rivoluzione tradita” e che bisognava ancora portare a termine (i benpensanti parlavano più sulfureamente di “promesse non mantenute” della democrazia) ci hanno accompagnato per anni, raggiungendo l’apoteosi proprio il 25 aprile di ogni anno. Mentre a noi che ragionavamo sempre più ci sembrava che la vera liberazione d’Italia era da collocarsi un po’ più tardi, in quel 18 aprile del ‘48, quando il buon De Gasperi sconfisse nelle urne i rossi dopo che era tornato con un po’ di soldini dall’America in un’Italia ridotta alla fame (anch’egli con le scarpe rotte e con il cappotto buono preso in prestito dal conte Casati).

Dai partigiani a Speranza

Poi passarono tanti anni, sempre a festeggiare e sempre con le bandiere rosse nelle piazze d’Italia. E, con in prima fila l’Associazione dei partigiani anche se i partigiani erano già tutti morti da un pezzo. E poi arrivò il 2020, l’anno del virus importato dalla Cina capital-comunista. E al ministero della Salute si trovò quasi per caso un perfetto burocrate di nome Speranza. Qualcuno ha allora pensato che la “speranza” nel “sol dell’avvenire” potesse finalmente realizzarsi. Gli italiani impauriti potevano essere finalmente plasmati (è scritto nero su bianco in un libro poi ritirato dal commercio) per creare il “mondo nuovo” tanto sognato e agognato. Il “laboratorio sociale” di orwelliana memoria, ovvero tutto il contrario dell’ordine spontaneo liberale. E pazienza se il rosso si era nel frattempo scolorito e si era fatto verde e digitale: il progetto e la mentalità “costruttivistica”, avrebbe detto il buon Hayek, rimanevano gli stessi. La stessa.

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