Mentre sono già morti quattordici dottori a causa del Coronavirus e numerose federazioni di medici e operatori sanitari denunciano condizioni di lavoro non adeguate con la carenza dei dispositivi di protezione individuale come mascherine e camici, il direttore generale dell’Ausl Romagna Marcello Tonini invia una lettera a medici, infermieri e dipendenti invitandoli a non raccontare pubblicamente eventuali mancanze nel materiale medico o a denunciarle sui social network.
Un tentativo di censura molto grave nei confronti di chi già rischia la vita in prima linea e una limitazione alla libertà di espressione che lascia senza parole. Nei giorni scorsi sono stati gli stessi medici dell’Emilia Romagna, soprattutto quelli non ospedalieri come medici di base o pediatri, a denunciare il fatto che l’azienda sanitaria non fornisse il materiale sanitario in numero sufficiente per difendersi dal rischio del contagio con conseguenze drammatiche.
Un medico ammalato infatti è una perdita doppia per la collettività perché non solo è una persona in più affetta da Covid-19 ma è anche forza lavoro che viene sottratta al sistema sanitario già in forte crisi. Denunciare pubblicamente una carenza di dispositivi di protezione individuale è perciò un gesto non solo per la loro tutela in prima persona ma per sollecitare dirigenti e istituzioni a fare di più nell’aiuto di tutti i cittadini.
C’è poi la libertà di espressione e di parola che è alla base di ogni democrazia, anche se in questi tempi molti sembrano averlo dimenticato. Mettiamoci per un attimo nei panni di un medico in prima linea nella lotta al Coronavirus che svolge il proprio lavoro con dedizione e spirito di sacrificio e si trova costretto a operare senza gli strumenti necessari, nel momento in cui riceve da un dirigente dell’Ausl una lettera in cui viene invitato a: “evitare esternazioni troppo dettagliate o tecniche, e nell’incertezza limitarci comunque nella diffusione di notizie legate al nostro lavoro”, che cosa dovrebbe pensare?
Non solo non si possono denunciare eventuali carenze nel materiale ma nemmeno commentare le scelte intraprese dell’Ausl: “o anche di raccontare quella decisione del nostro superiore o della nostra azienda che non condividiamo, perché la pensiamo diversamente o perché ci crea ansia”.
Un vero e proprio tentativo di censura in Emilia Romagna, seconda regione dopo la Lombardia per numero di contagi con la provincia di Rimini tra le più colpite in Italia, che invita a riflettere: se nemmeno i medici che rischiano la propria vita ogni giorno in prima linea possono commentare o esprimere il proprio dissenso per carenze o errori nella gestione dell’emergenza, qual è il trattamento riservato ai semplici cittadini?
In un momento non ordinario come quello che stiamo vivendo, è necessario vigilare affinché non siano intaccati i diritti fondamentali di ogni democrazia come la libertà di parola e non avvengano inaccettabili tentativi di censura, soprattutto nei confronti di chi dovremmo essere più riconoscenti: i medici e gli operatori sanitari.
Francesco Giubilei, 20 marzo 2020