Esteri

E se tornasse Trump?

Sondaggi horror per Biden: in un’ipotetica sfida sarebbe il Tycoon a trionfare. Su cosa si fonderà un potenziale Trump-bis

Popolarità e consenso politico ai minimi storici per i democratici. È questo il risultato dell’ultimo sondaggio, condotto da Abc e Washington Post, su un’ipotetica sfida elettorale tra Joe Biden e Donald Trump. Il presidente americano, infatti, avrebbe uno svantaggio di addirittura 9 punti percentuali dal Tycoon, che stazionerebbe intorno al 51 per cento. Una vera e propria botta per la Casa Bianca, ancora più grave se prendiamo in considerazione il fatto che Biden – solo quattro anni fa – trionfava divenendo il leader più votato nella storia Usa.

Trump vs Biden

A ciò, si aggiunge il caso che oltre un americano su due boccia l’operato del numero uno della Casa Bianca, il peggior risultato per un presidente negli ultimi 37 anni. E ancora, la percentuale di approvazione scende addirittura al 23 per cento, se si parla dell’emergenza migratoria. Insomma, un capitombolo sotto tutti i fronti per Biden, ora anche alle prese con i problemi giudiziari del figlio Hunter, incriminato poche settimane fa per tre capi d’accusa inerenti il possesso illegale di armi.

Ma l’andamento negativo del leader dem non è una novità dell’ultimo minuto. Secondo un recente sondaggio condotto dall’Associated Press and Norc Center for Public Affairs, molti ritengono che il presidente degli Stati Uniti, se rieletto l’anno prossimo, sia troppo anziano per svolgere efficacemente il suo ruolo. Più precisamente, il 77 per cento dei rispondenti ha espresso tale preoccupazione, una percentuale che si alza all’89 per cento nell’area repubblicana e che si abbassa – pur rimanendo estremamente alta – al 69 per cento per i democratici.

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Insomma, uno scenario horror per i progressisti americani, e che alza le possibilità trumpiane di staccare un secondo pass di quattro anni alla guida del Paese a stelle e strisce. Ma guarda caso, nonostante la criminalizzazione della scorsa campagna elettorale, è lo stesso Biden ad aver ripreso alcune delle politiche economiche impostate dal predecessore. Si pensi alla linea dura sulla Cina, composta da dazi e limitazioni, che il Tycoon ha attutato sin dall’inizio del suo mandato.

Immigrazione

O ancora, nonostante le promesse dem di quasi quattro anni fa, i democratici hanno continuato a seguire la linea dura sull’immigrazione. A pochi mesi dall’elezione di Biden, per esempio, era la vicepresidente Kamala Harris a blindare i confini, implorando ai migranti di “non venire negli Stati Uniti”. Un approccio rigorista, ma che in realtà va a rappresentare letteralmente l’animo americano attuale, sia di destra che di sinistra: Trump è stato un presidente isolazionista per una popolazione divenuta isolazionista. E nonostante i tanto sbandierati miti sull’accoglienza e sulla globalizzazione, il sentimento non è cambiato nemmeno nei quattro anni di Joe Biden.

La questione cinese

In un ipotetico secondo mandato presidenziale di Trump, quindi, la linea ultra-protezionista sarà sicuramente mantenuta in una funzione anti-cinese. Ed è da qui che si ricollega anche la questione spinosa di Taiwan, da sempre il bocconcino prelibato di Xi Jinping. Stiamo parlando di un’isola che, da sola, costituisce la produzione del 65 per cento dei microchip a livello mondiale; una percentuale che arriva all’85 per cento se si tratta dei semiconduttori più avanzati. L’eventuale conquista militare da parte di Pechino andrebbe indubbiamente a garantirgli il primato globale economico e geopolitico, visto che Xi metterebbe mano sulla principale potenza tecnologica a cui fanno affidamento sia Europa che Stati Uniti.

Ed è ancora da qui che Trump proseguirà nel suo obiettivo di potenziare la domanda e la produzione interna, in una sorta di programmazione autarchica che porti gli Usa ad un’autosufficienza tecnologica. D’altro canto, le numerose sovvenzioni della presidenza Biden sono andate nella stessa direzione, rimarcando ancor di più il tratto anti-cinese presente pure nell’area del Partito Democratico.

La guerra in Ucraina

La questione cinese si ricollega poi alla guerra tra Russia ed Ucraina. Se il mondo dem è più direzionato verso la prosecuzione del sostegno militare (ma “senza aver firmato un assegno in bianco”, come affermato dallo stesso Biden); nel Gop i dubbi sono maggiori. E anzi, Trump ha sempre cercato di “imitare” Xi Jinping, da sempre estremamente ambiguo sul conflitto, arrivando però a presentare i celeberrimi “punti di pace” per concludere la guerra.

Da qui, invece, il Tycoon – come da lui stesso raccontato – telefonò a Putin per tentare di convincerlo a rinunciare all’invasione, ma dall’altra ha sempre mantenuto toni diplomatici verso l’Ucraina. Pochi giorni fa, infatti, The Donald prometteva la presentazione di un “piano di pace giusto” per entrambe le parti, senza legarsi in modo imprescindibile alla causa di Kiev.

Un posizionamento geopolitico da terzo, forse dovuto anche dalle spinte degli apparati interni di non voler tranciare qualsiasi rapporto con Mosca. L’obiettivo rimane pur sempre avvicinare la Federazione Russa ed orientarla in una funzione anti-cinese. Una strategia opposta rispetto a quella di Biden, che sin dall’inizio della guerra ha posto Putin in una posizione di isolamento.

Un assist per Pechino, che ora gode di un’economia in difficoltà che si è affacciata al suo enorme mercato interno, ma soprattutto beneficia dell’amicizia della prima potenza nucleare a livello mondiale. Un asset strategico per Xi Jinping e che Trump vorrà rompere.

Matteo Milanesi, 25 settembre 2023