Cronaca

“È solo colpa sua”, “Non è vero”. Scontro Feltri-Biloslavo su Cecilia Sala

vittorio feltri cecilia sala © CreativePhotoCorner e MivPiv tramite Canva.com

Cecilia Sala è detenuta da 11 giorni nel carcere di Teheran. E dopo la preoccupazione bipartisan per le sue condizioni detentive, dopo le telefonate alla famiglie e il lavoro diplomatico, puntuali arrivano le polemiche. Ieri il Giornale aveva ripescato alcuni tweet della giornalista del Foglio molto critica sulle manovre che l’Italia stava cercando di portare a termine per salvare dall’India i due Marò accusati ingiustamente di omicidio. Massimiliano Latorre ha risposto da gran signore, l’abbiamo detto, ma adesso due firme di peso si domandano se la missione giornalistica di Cecilia sia stata prudente oppure no. Doveva andare in Iran per raccontare quel paese alla luce della caduta di Assad in Siria? Oppure era meglio restare in Italia?

Vittorio Feltri non ha dubbi. Ed è forse il primo a rompere il fronte dei colleghi che sin qui hanno difeso a spada tratta la Sala. Analizzando il regime degli Ayatollah e il caos geopolitico, per il direttore non è “un bel momento per compiere un pellegrinaggio a Teheran. Quindi Sala ci è andata a suo rischio e pericolo, da sola, non si capisce bene perché”. Feltri si domanda se la Sala “era stata inviata da un giornale” o “da una tv”, se era supportata” o meno. “Pare che non fosse la prima volta che la giornalista visitava questo Paese, che la affascinava particolarmente. E pare che ella esaltasse la cultura barbara di questi popoli, di cui ora sta scoprendo la scarsa civiltà, purtroppo sulla sua stessa pelle”.

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Sia chiaro: anche Feltri ritiene che l’arresto sia ingiusto. Ma, aggiunge, “non posso fare a meno di chiedermi per quale ragione ci ostiniamo a viaggiare verso tali mete, verso Paesi fermi alla preistoria, dove il diritto non esiste, dove ogni libertà viene calpestata, dove non vige alcuna garanzia giuridica, dove l’unica legge ammessa è contenuta nel Corano”. Il compito del cronista non è andare anche lì dove nessuno va? Sì, dice Feltri, ma “si presume che una giornalista sia informata, che legga i giornali, che conosca la situazione, che sia consapevole dei pericoli, che non si avventuri in Iran come se stesse andando a fare una scampagnata alle porte di Milano. Non si può dare sempre la colpa al governo e soltanto perché è di centrodestra. L’ideologia mettiamola da parte”. Insomma: “Cecilia Sala – insiste il direttore – è nei guai per causa sua, ossia a causa della sua condotta superficiale, della sua avventatezza, della sottovalutazione, da parte sua, dei rischi, della sua inesperienza, poiché, e questa storia lo mostra con evidenza, non basta viaggiare spesso o essere già stati in certi luoghi per prendere la patente di esperti. Evidentemente serve qualcosa in più, che Sala non possiede. I giornalisti non si avventurano. Le loro trasferte sono pianificate, strutturate, studiate”. Per salvarla bisogna salvarla, “ma a quei colleghi che già la esaltano, facendone una specie di idolo, faccio presente che non siamo al cospetto di un genio”.

Di tutt’altro avviso invece Fausto Biloslavo, che Cecilia Sala l’ha conosciuta durante alcuni dei suoi reportage. “Cecilia è una giornalista italiana, «ostaggio» degli iraniani, che va riportata a casa, punto e basta”, scrive lo storico inviato di guerra. Non bisogna cedere alla propaganda politica: “So di cosa parlo: nel 1987, quando sono stato catturato durante un reportage con i mujaheddin che combattevano l’Armata rossa, l’Unità titolò «Neofascista arrestato in Afghanistan» perché avevo militato dieci anni prima nel Fronte della gioventù. L’importante è che Cecilia fosse in Iran per realizzare un reportage come giornalista con un regolare visto, che gli iraniani potevano revocare rispedendola in Italia se i suoi podcast li avessero particolarmente stizziti”.

Nessuna inesperienza, insomma. “Non si può nemmeno dire che la giornalista italiana sia una sprovveduta o una kamikaze dell’informazione, un’improvvisatrice che non si rende conto dei rischi – scrive Biloslavo – Anzi, nonostante l’irruenza della giovane età, risulta che sia sempre stata molto attenta. A Kabul, dove l’ho conosciuta, durante la Caporetto afghana, non si è buttata in mezzo alla protesta delle donne disperse a fucilate dai talebani rischiando di finire male. Sul ponte di Irpin non si è tuffata verso i carri russi che avanzavano su Kiev, riuscendo comunque a fare, in relativa sicurezza, un buon lavoro”.

Forse, ragiona Biloslavo, “nel regno degli ayatollah avrebbe potuto mandare in onda i podcast una volta tornata a casa” e non quando era ancora lì alla mercé delle autorità iraniane anche se queste “erano informate su incontri, interviste e non avevano battuto ciglio”.

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