Migranti in Albania, Meloni choc: “Sono stata minacciata di morte”

La premier a Rai1 risponde alla decisione del Tribunale di Bologna di interpellare la Corte di Giustizia Ue sull’applicazione del decreto sui centri in Albania

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CdM Meloni migranti

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha espresso una decisa critica nei confronti delle azioni giudici emiliani in merito alla legge italiana sui Paesi da considerarsi sicuri per i migranti. “Le argomentazioni con cui il Tribunale di Bologna chiede alla Corte di giustizia europea l’autorizzazione a ‘disapplicare l’ennesima legge italiana da molti è stata vista come un’argomentazione più vicina a un volantino propagandistico che a un atto da tribunale”, ha dichiarato la presidente durante la trasmissione televisiva “Porta a porta” su Rai1, mettendo in discussione la validità e l’intento della richiesta avanzata dalla corte bolognese.

“Sono convinta – ha detto la premier – che la ragione per cui si sta facendo qualsiasi cosa possibile per bloccare il protocollo con l’Albania è che tutti capiscono che è la chiave di volta per bloccare l’immigrazione irregolare. Se lo scafista si ritrova fuori dai confini europei, questo è il più grande deterrente che possiamo mettere in campo. È la prima volta, infatti, che i trafficanti di esseri umani mi hanno minacciato di morte“.

La controversia ruota attorno ad una recente normativa, voluta dal governo Meloni, atta a definire una lista di “Paesi sicuri”, che ha suscitato reazioni contrastanti all’interno dell’apparato giudiziario italiano. Tale decreto legislativo, datato 21 ottobre, ha subito incontrato resistenza da parte del Tribunale di Bologna, che ha immediatamente sollevato dubbi sulla sua compatibilità con il diritto europeo e ha pertanto chiesto un chiarimento alla Corte di Giustizia dell’Ue.

Questa richiesta interviene in seguito ad un accordo annunciato un anno fa dalla stessa Meloni con il primo ministro albanese Edi Rama per la creazione di un centro di accoglienza per migranti in territorio albanese, ma sotto giurisdizione italiana, destinato ai migranti “non vulnerabili” (maschi adulti in salute) provenienti da una lista di “Paesi sicuri”, inclusi Egitto e Bangladesh.

L’attuale sistema di accoglienza, inaugurato ad ottobre, è stato subito boicottato dalle toghe: il trattenimento al confine di 12 migranti per avviare una procedura di asilo “accelerata” doveva essere infatti convalidato da un giudice, ma i magistrati romani, tra cui Silvia Albano, lo hanno respinto appellandosi ad una recente sentenza della Corte Ue sulla Moldavia. Sintesi: un Paese che all’interno del proprio territorio ha delle aree “non sicure” non può essere categorizzato come “sicuro”.

Il governo aveva quindi deciso di “elevare” la lista dei 19 “Paesi sicuri” da decreto interministeriale a norma primaria, ma ora il dibattito si sposta a livello europeo, con la corte bolognese che mette in discussione le modalità con cui tale lista è stata redatta in relazione alle norme europee vigenti. Secondo i magistrati emiliani, non è possibile considerare “sicuro” un Paese che non garantisca a tutti i cittadini, incluse minoranze e omosessuali, tutti i diritti. Da qui la richiesta alla corte Ue di disapplicare la legge appena varata dal governo italiano.

Per approfondire, leggi l’analisi di Annalisa Imparato, Sostituto Procuratore della Repubblica

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