La cattura, estradizione e confessione del terrorista Cesare Battisti, colpevole di quattro omicidi, ha riaperto la porta a interpretazioni degli Anni di piombo che tornano indietro di cinquant’anni sul piano delle acquisizioni storiche. Su Repubblica abbiamo letto analisi che rasentano l’assurdo. Secondo Francesco Merlo, la verità sarebbe «che, in generale nella guerra al terrorismo e nel caso Battisti in particolare, la sinistra italiana ha dato la prova migliore della sua storia che, pur scombiccherata, è ora di nuovo calunniata». Secondo Michele Serra, «non solo non è vero che la sinistra ha protetto Cesare Battisti. È vero, al contrario, che il terrorismo rosso, anche perché isolato e combattuto dalla sinistra di massa (partiti e sindacati) ha pagato quasi al completo, e nel dettaglio i suoi conti con la legge» a differenza dello stragismo nero, del tutto impunito.
Merlo e Serra si schierano così contro cinque decenni di storiografia, e tonnellate di documenti, che hanno acclarato l’esatto contrario rispetto alle loro elucubrazioni. Riassumo in breve. Il punto di forza della propaganda targata Kgb fu instillare nei militanti (e non solo) l’ossessione del complotto anticomunista ordito dalle forze oscure della reazione per impedire al Pci di arrivare democraticamente al potere. Il Pci ha sempre considerata valida l’idea di una insurrezione armata e disponeva dei mezzi necessari per realizzarla. L’apparato militare non era esterno al partito ma interno ad esso e prevedeva una struttura clandestina intrecciata con l’Anpi e la Figc.
La risposta dello Stato fu la creazione di Gladio, un programma di risposta rapida a un’eventuale aggressione delle forze del Patto di Varsavia, facilitata dalla quinta colonna (la Gladio rossa) dei comunisti italiani. Appare evidente che alcuni militanti, in numero sufficiente da creare gravi problemi, siano stati addestrati alla guerriglia e al sabotaggio in Cecoslovacchia. Il governo Tambroni, appoggiato dall’Msi, e gli scontri del 1960 sono un punto di svolta: torna in campo il mito di un fascismo eterno che minaccerebbe l’Italia; l’emergenza antifascista è dunque continua e indispensabile. È la nuova politica del Pci, che ancora influenza, in modi diversi, gli eredi di quella storia. Il colpo di Stato potrebbe essere realizzato con l’ausilio degli Stati Uniti: l’anti-americanismo entra nella agenda politica dei militanti. Il pacifismo dei comunisti europei era uno strumento sovietico da interpretare nel quadro della Guerra fredda e sparì non appena l’arsenale atomico dell’Urss divenne competitivo. Il terrorismo di sinistra non era improvvisato dal punto di vista ideologico e neppure da quello militare: appartiene alla tradizione eversiva coltivata dal partito. Racconta l’ex brigatista Alberto Franceschini: «Le Br attinsero armi dai depositi dei partigiani e alla fine degli anni Sessanta io stesso in un fienile in mezzo alla campagna, poco fuori di Reggio Emilia, venni condotto in un arsenale; trenta, quaranta mitra Sten, perfettamente oleati e con caricatori in abbondanza».
Non si vuole qui affermare che la storia del Pci si risolva solo in questo e neppure affermare che la lotta armata fosse uno sbocco inevitabile. Non si vuole sottovalutare il peso del terrorismo nero e dello stragismo: i documenti, anche in questo caso, ci sono ma sono materia per un altro articolo. Premesso tutto questo, i legami culturali (e a volte materiali) tra terrorismo e Pci non sono più in discussione. È anche noto, grazie ai lavori della Commissione Mitrokhin guidata da Paolo Guzzanti, che lo Stato italiano si dimostrò distratto nel valutare le decine di documenti trasmesse dai servizi segreti inglesi e relativi, tra le altre cose, agli agenti del Kgb sotto copertura in Italia. Singolare. Infatti Vasilij Nikitich Mitrochin, ex archivista del Kgb, dissidente in Gran Bretagna, aveva copiato migliaia di schede, messe a disposizione dell’MI6. Era una fonte di prima mano, nonostante si cercasse di farlo passare per un personaggio di secondo piano in possesso di materiale di secondo piano. Falso. Mitrochin aveva accuratamente selezionato e criptato le informazioni che intendeva condividere con le forze del Patto Atlantico. Questo non significa che anche i suoi documenti non debbano passare all’attenta considerazione degli studiosi, per valutarne la veridicità.