Finalmente è uscita la vera causa, meglio, la vera colpevole della disfatta azzurra in Germania: è anzi sono “le destre”, quella filiera nera, schifosa, malata che parte da Berlusconi (anche se attualmente lo si riscopre come un libertario libertino di estrema sinistra), passa per la Bossi-Fini, transita per Salvini e approda, finalmente, alla stramaledetta Giorgia Meloni. Ci voleva tanto? Ma siccome c’è teleMeloni e l’onda nera, nessuno si azzardava finché non ci ha pensato Repubblica nella penna del coraggioso Riccardo Luna.
La pena azzurra discende dallo ius soli, dal mancato ius soli, se c’era quello avevamo vinto tutti i tornei sulla faccia della terra. L’argomento ha basi solidissime: e allora gli altri? Per dire le altre Nazionali per 11 undicesimi piene di atleti di colore. Loro sì che vanno avanti, noi invece siamo una sporca rappresentativa bianca, cioè nera, ma solo nella politica, e questi, signori, questi, amici miei, sono i risultati. Vedi come va Nico Williams, nato a Pamplona da genitori ghanesi. Il fatto che questo sia un talento di quelli che ne nascono uno in 50 anni, fa niente. Eh, la vera faccenda è che “da noi lo ius soli è visto come una pericolosa concessione che mette in pericolo l’italianità”: da qui si può infilare di tutto, le scuole, Vannacci, “i diritti delle persone” (errore, caro Luna: si dice i diritti delle persone umane), i cortili dove non si gioca più a pallone; a questa stregua, però, i cortili dovrebbero essere riservati ai solo bambini di colore, se no è fascismo e poi l’Italia fa cagare.
L’argomento è di quelli suggestivi, ma senza un fondamento né logico, né razionale, né tecnico. Ed è uno pseudoargomento razzista, porta a ritenere che il campione non si costruisca dalle basi, dalle scuole tecniche, ma dal colore della pelle. I bianchi sono delle seghe, i neri dei potenziali Pelè, tutti. Lo stesso articolista a un certo punto deve pur ammettere che le casacche azzurre degli El Shaarawy e i Mario Retegui fanno ridere, ma non porta la constatazione alle necessarie conseguenze logiche: se anche loro avessero goduto dello ius soli, cioè fossero diventati italiani appena nati anziché diciottenni, sai gli sfracelli in campo.
C’è chi rileva la carenza delle strutture giovanili, la fallacia di un sistema che da anni si regge sulla truffa dei bonus stranieri, bonus fiscali che poi sono la cara vecchia corruzione etnica che c’è sempre stata; con la differenza che prima c’era spazio anche per qualche talento nato, a prescindere, e non dettavano tutto, in ordine sparso ma inanellato: i procuratori, la politica che arriva a raccomandare perfino i giocatori, oltre ai dirigenti, la malavita organizzata che sta dietro il calcioscommesse, questo cancro carsico che affiora, poi s’inabissa e tutti fingono non ci sia più. Quanto ai selezionatori, selezionano niente, selezionano scelte imposte, prese altrove.
Il risultato di questa truffa legalizzata, che ancora non ci si decide a rimuovere, è che il calcio nazionale è composto per il 70% di stranieri, per lo più mediocri; mentre in altri Paesi la confusione babelica di atleti, di etnie, esiste ugualmente, ma all’interno di contesti assai più organizzati, capaci di farli crescere. Questi atleti in occasione delle competizioni globali tornano a vestire i colori dei propri Paesi, e li nobilitano, li fanno ben figurare, ma non è una questione cutanea, santo cielo. È che se come sempre in Italia prevale la soluzione all’italiana, affari più politica: dei calciatori in erba lo sport italiano non sa che farsene, magari gli fa vincere le competizioni degli “under”, ma poi li lascia lì. Abbiamo sempre avuto oriundi e naturalizzati, ma funzionavano egregiamente nell’organico di squadre, cittadine e nazionali, all’interno di un sistema che innalzava globalmente la qualità. Mentre quelli che sono venuti dopo, come Balotelli, si sono rivelati delle schiappe.
Troppo facile buttarla in politica, risolvere con l’agenda piddina dei diritti anche nel calcio e lo ius soli pallonaro è qualcosa che non sta in piedi, che serve a distogliere dai problemi veri. Fate pure le leggi che volete, nazionalizzate in culla i giocatori di domani, ma se qualcuno crede che basti questo, o è in malafede o è un illuso. Non è possibile che in un Paese di 60 milioni di esperti da bar, non si riesca a trovarne una ventina capaci di tirar due calci a una palla. A questi campionati europei, invero mediocri per livello generale, per l’eccesso di tatticismo, per quell’abitudine ai duecento passaggi cervellotici senza mai nessuno che tiri in porta finché non sta a due centimetri dal portiere avversario, si sta vedendo di tutto: squadre europee a larga prevalenza di neri che se la cavano, altre che stentano, compagini completamente bianche che fanno flanella, altre che restano dignitosamente a galla, le squadre dell’Est che di giocatori “etnici” praticamente non ne hanno, si sono segnalate almeno per agonismo, per una certa lucidità, per compattezza: nessuna, e ripetiamo nessuna ha indotto la pena dell’Italia.
Se una Nazionale arriva tanto in basso, ad offrire uno spettacolo mortificante per i suoi tifosi, i suoi cittadini, sotto tutti gli aspetti, a cominciare dallo spirito di corpo, dall’attaccamento alla maglia, non può essere una facile questione di ius pallonaro. A meno di non pretendere di risolvere tutto mettendo la Schlein al vertice federale e Ilaria Salis selezionatrice, con Soumahoro capo delegazione.
Max Del Papa, 4 luglio 2024
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