Cultura, tv e spettacoli

È tornata Elena Cecchettin, reginetta delle banalità

La sorella di Giulia dal palco del Salone del Libro parla di potere e patriarcato. E la sua maglietta…

elena cecchettin salone del libro torino

Dietro la Cecchettin inc. c’è un apparato di tutto rispetto, mutuato dal PD ma il PD non può essere così sottile, così calibrato, l’agenzia che cura gli interessi di Cecchettin padre magari si occuperà anche della figlia: già, eccola all’immaginifico Salone del Libro di Torino, questa enclave di sinistra radical che si usa dire chic ma è volgare nella sua avidità fanatica e cattiva.

Come a prepararsi il terreno per un libretto, anche lei, dedicato alla sorella. Quello di papà è poca cosa, si scorre in due minuti sugli scaffali di Feltrinelli mentre aspetti il treno, ma la regola è non problematizzare, spingere sui sentimenti facili e magari caricati, a presa rapida, a retorica collosa. Eccola Elena fra uno Scurati e un Saviano, una Valerio e una Lucarelli, tutti martiri autocertificati nel Paese dove i martiri menano, invadono, aggrediscono la polizia, impongono l’agenda, impediscono, dirigono i nuovi pogrom, sono sovraesposti, cedono a vanità demoniaca, ma eccola Elena coi capelli al solito incolti, sofferenti, strategicamente, e però la magliettina calibrata, maliziosa, “Stop al genocidio”, per poter dire tutto senza compromettersi: quale genocidio?

Quello delle donne? Delle sorelle? Dei diritti umani? Di Gaza? Quello che vi pare, quello che scegliete, una cosa è certa come ci hanno insegnato le manifestazioni di questi mesi: tutti ma non quello degli scannati e martoriati da Hamas. Hamas non si tocca, Hamas è simpatica, è di moda nella sinistra che gioca a fare l’eretica. Come mi ha scritto una su Facebook: “Hamas lotta per l’indipendenza palestinese e tu che la critichi meriti il cancro che hai”. Hamas, che per le donne, palestinesi come ebree, ha attenzioni e sensibilità particolari.

Stop al genocidio e ascoltiamo questa ventenne che predica, straparla di potere, di rapporti di potere, roba complicata, ma la regola è quella del libro di papà: andare sul liscio, banalizzare, riempirsi la bocca e le pagine. Roba di questo tenore: “L’idea stessa di forza, esplorando forme di potere non basate sull’oppressione”. Non significa niente e non è il caso di scomodare la filosofia occidentale degli ultimi tre secoli e neanche un teorico recente del potere, quel Michel Foucault autore nel 1977 di un libretto seminale, “Microfisica del potere”, le sue intuizioni fra potere verticale e orizzontale o, meglio detto, “reticolare”, quello tra individui, che ci collega e ci coinvolge tutti in rapporti reciproci di autorità-soggezione.

Ai tempi della pandemia è successa la tragedia: il potere reticolare, per esempio quello dei sanitari sui pazienti, è diventato ancillare di quello istituzionale: “Chi non si vaccina lo aspetto, lo torturo, gli scoppio le vene, lo buco cento volte, lo ammazzo”. E la gente, la tanto blandita gente, nel suo potere orizzontale, reticolare, ha finito per dividersi, per scannarsi, per odiarsi, per spiarsi, per mettersi al servizio anche lei di un potere che intanto la comprimeva, stracciava i suoi diritti democratici e indisponibili, ne faceva mattoni di un muro, senza coscienza, senza responsabilità mattoni che si schiacciavano e si controllavano fra loro come piaceva al potere. Non c’è mai stata una dimensione così infamata, maledetta, come, negli ultimi tempi, l’individuo: foriero di tutti i mali e di tutti i peccati. Quando era il contrario, l’individuo è coscienza, responsabilità, creazione, attività, specificità. Tra individuo e capitalismo classico c’è poi un rapporto che i propagandisti di sinistra più o meno lucidamente puntano a demonizzare, a stroncare.

Ecco qua, per farla facilissima, un esempio di idea stessa di forza, di oppressione eccetera. Ma la maglietta di baby Cecchettin non lo contempla, non lo sospetta, è tutta autopromozione e riceve, immediato, il feedback della declinante Elly Schlein, al capolinea del suo potere nel politburo piddino ma ancora potente, decisiva al salone del Libro per le clientele e le promozioni che ancora può garantire.

Ha chiesto Francesca Totolo su X: “Perché al Salone non sono state invitate le madri di Pamela, Desirée, Michelle, Celine e delle altre uccise da immigrati?”. Francesca è tutto tranne che ingenua, il suo è il candore polemico di chi non otterrà risposta e lo sa. Ma la domanda va posta. E la risposta è nel silenzio: il salone è articolazione dei pro Pal, degli Askatasuna che marciano in falange ed entrano – perché il potere transeunte di destra ha dato ordine di lasciarli passare, di non complicare le cose, entrano e riescono a boicottare gli ebrei, a orchestrare l’ennesimo episodio di un pogrom perenne.

Il che non significa che non si possa, non si debba criticare Israele nella sua perdita di controllo: significa che la complicazione va bandita.

Baby Cecchettin usa frasi strampalate, valeriane o schleiniane, che piace sentire al pubblico della narrativa facile, militante, aproblematica di Feltrinellli e del resto dell’editoria grossolana, che vive più di risposte liofilizzate che di domande a lento rilascio, complicate, magari insolubili. Anche fortunata, baby Cecchettin: mentre fa il sermone, piomba una invasata cattolica col crocifisso in pugno per allontanarla in quanto diavola. Tutta pubblicità e a questo punto possiamo, con orgoglio, considerare che se la Svezia e l’Europa hanno Greta che va a Malmoe a farsi arrestare in mezzo a una banda di pro Hamas, noi abbiamo Elena, baby Cecchettin, la nostra risposta sofferta, dolente, che non ha niente da invidiare, in una competizione valoriale mercantile che ricorda molto quella fra modelli di auto elettriche, fra pompe di calore.

Max Del Papa, 13 maggio 2024

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